Cancro del colon: «Presto la “sacchetta” apparterrà  alla storia della chirurgia»

Il workshop

Cancro del colon: «Presto la “sacchetta” apparterrà  alla storia della chirurgia»

di redazione

«Da quando la radiochemioterapia viene effettuata prima dell’intervento chirurgico (“neoadiuvante”)  c’è stato il progressivo incremento delle “risposte complete patologiche”: guarigioni definitive combinate al risparmio dello sfintere anale. La tanto temuta sacchetta definitiva, detta “colostomia, a breve apparterrà  alla storia della chirurgia: in questi anni si è proceduto speditamente verso una chirurgia altrettanto radicale ma sempre più rispettosa della persona e della sua integrità funzionale». 

A dirlo è Maurizio Cosimelli,  della Chirurgia Generale ed Epatobiliopancreatica dell’Istituto Regina Elena di Roma, che fissa un obiettivo che forse non sarà immediato ma oggi appare quanto mai possibile grazie ai progressi nel trattamento del cancro del colon retto. 

Su questo tema si confrontano il 18-19 maggio all’Istituto  Regina Elena esperti da tutta Italia. 

La sinergia terapeutica di chirurgia radicale preceduta dalla radio chemioterapia consente oggi di garantisce la guarigione del 60% dei pazienti con carcinoma rettale non metastatico e si arriva alla scomparsa istologica del tumore in circa il 25% dei pazienti, con guarigioni definitive e risparmio dello sfintere anale.

I prossimi traguardi terapeutici sono le nuove tecniche chirurgiche mini-invasive, dalla robotica alla chirurgia ultraconservativa, in grado di risparmiare il retto nei pazienti con massima risposta alla radiochemioterapia neoadiuvante; la personalizzazione dei percorsi terapeutici integrati sulla base di profili biologici sempre più specifici; l’ottimizzazione della sequenza terapeutica nei pazienti che devono essere curati sia per il carcinoma rettale sia per le metastasi epatiche.

«Anche in caso di metastasi al fegato le possibilità curative sono salite progressivamente»; aggiunge Gian Luca Grazi che insieme a Cosimelli è responsabile scientifico del workshop. «La chirurgia radicale può arrivare a guarire il 40% dei pazienti operati, mentre l’approccio laparoscopico è sempre più utilizzato anche nei pazienti da sottoporre ad interventi di chirurgia “maggiore” (3 o più segmenti epatici).  Nello stesso tempo, la chemioterapia sistemica è in grado di recuperare ad interventi chirurgici radicali un sempre maggior numero di pazienti affetti da metastasi epatiche».