Per la sindrome dell’intestino corto nessun percorso diagnostico terapeutico assistenziale dedicato

Malattie rare

Per la sindrome dell’intestino corto nessun percorso diagnostico terapeutico assistenziale dedicato

di redazione

Si stima che in Italia ne soffrano circa 800 persone, tra cui 150 bambini. Una malattia rara, perciò, che si stima abbia una prevalenza fra 0,4 e 6 casi ogni milione di abitanti. Tuttavia non è riconosciuta come tale dalla sanità italiana, impedendo così la nascita di una rete di assistenza uniforme sul territorio.

È la sindrome dell'intestino corto (Sbs), sulla quale Takeda Italia ha voluto accendere un riflettore con un incontro on line per fare luce sui bisogni dei pazienti che ne soffrono e promuovere una corretta informazione.

La malattia porta a insufficienza intestinale cronica, una condizione per cui l’intestino non riesce più ad assorbire nutrienti in maniera sufficiente, con conseguenze invalidanti e complicanze anche gravi.

La rarità della malattia e la sua scarsa conoscenza da parte di pazienti, medici e Istituzioni porta spesso a una diagnosi tardiva e, quindi, a un maggior rischio di sviluppo di complicanze.

«Se la Sbs con insufficienza intestinale non viene riconosciuta tempestivamente e curata al meglio, il paziente può sviluppare malnutrizione di grado severo e disidratazione con sofferenza renale – spiega Loris Pironi, direttore del Centro regionale per l’insufficienza intestinale cronica del Policlinico di S. Orsola di Bologna - rischiando così di avere due insufficienze d’organo, quella intestinale e quella renale. La nutrizione parenterale, poi, deve essere attentamente gestita perchè, pur essendo la terapia salvavita, può esporre il paziente a complicanze come infezioni gravi del catetere ed epatopatia cronica evolutiva».

Nel caso dei pazienti pediatrici la nutrizione parenterale è particolarmente delicata. «A differenza del paziente adulto, infatti, nel bambino la nutrizione artificiale va costantemente rimodulata così da garantire una crescita ottimale, che rappresenta il marker più efficace di adeguatezza del programma nutrizionale impostato» precisa Antonella Diamanti, responsabile dell'Unità di Riabilitazione nutrizionale dell'ospedale Bambino Gesù di Roma. Sebbene sia essenziale per la sopravvivenza, la dipendenza ha un impatto molto rilevante sulla qualità di vita dei bambini, con difficoltà relazionali ed emotive.

Oggi però c’è uno strumento in più per favorire lo svezzamento dei pazienti pediatrici o ridurre la dipendenza dalla terapia parenterale: un farmaco, teduglutide, già indicato nel trattamento degli adulti con Sbs, che ha dimostrato di aumentare le capacità di assorbimento delle cellule epiteliali dell’intestino, valorizzando così la parte di organo residua.

«Siamo particolarmente orgogliosi di poter offrire anche ai pazienti pediatrici il prodotto della nostra ricerca e innovazione» assicura Alfonso Gentile, Medical & Regulatory Director di Takeda Italia. «Oltre a fornire delle risposte terapeutiche – aggiunge - per noi è fondamentale sollevare l’attenzione su patologie rare come la Sbs, di cui purtroppo si parla troppo poco».