L’ansia del “publish or perish” che rovina la vita ai giovani oncologi
Più si pubblica più aumentano le possibilità di fare carriera nel mondo accademico. Ma nessuno gli concede tempo per la ricerca. Così i giovani oncologi rinunciano alla vita privata, rischiando anche di pubblicare su riviste sbagliate. All’ESMO una sessione dedicata alle sfide della pubblicazione
Trovare il tempo per fare tutto e per farlo bene: gli impegni da medico, con i turni in ospedale, i colloqui con i pazienti e i famigliari, l’aggiornamento delle cartelle cliniche, le prescrizioni, il monitoraggio della terapia e, in più, l’attività di ricerca, studiare, raccogliere dati, scrivere, pubblicare. La preparazione conta per fare carriera, certamente, ma conta anche saper fare i salti mortali e riuscire ogni volta a cadere in piedi. I giovani oncologi che aspirano a un ruolo accademico sono continuamente minacciati dalla spada di Damocle del “publish or perish” e cercano spasmodicamente di assicurarsi la firma sul maggior numero di pubblicazioni possibili. Perché così funziona e bisogna adeguarsi.
Non importa se significa rinunciare al tempo libero, al sonno, alle vacanze e rimandare a chissà quando l’ambìto traguardo del “work-life” balance. Perché, va messo in conto, che non c’è la certezza una volta ottenuto un ruolo accademico di avere finalmente più tempo da dedicare alla ricerca. L’ansia da pubblicazione si fa sentire ancora di più nei Paesi dove l’attività di ricerca non riceve un adeguato riconoscimento e dove il tempo dedicato alla stesura di un paper viene considerato tempo perso.
E poi non basta finire su un giornale per fare un passo avanti nella carriera accademica, bisogna finire sul giornale giusto, quello accreditato, con l’impact factor che indica autorevolezza e la peer review che garantisce affidabilità. Non sempre i medici freschi di specializzazione sanno orientarsi nel mondo dell’editoria scientifica distinguendo la rivista “buona” da quella con procedure di revisione degli articoli poco rigorose e di conseguenza poco o per nulla apprezzata dalla comunità scientifica. Molti giovani ricercatori non hanno dimestichezza con l’iter della pubblicazione, con le regole e i protocolli che precedono la stampa. Non è colpa loro, nessuno glielo insegna all’università.
Il problema è talmente attuale che al congresso ESMO 2022 (Parigi 9-13 settembre) se ne parla in due diverse occasioni: alla presentazione di un abstract dal titolo “Oncology under attack by predatory journals: A global survey” e nel corso seminario, all’interno della sessione Young Oncologists Track, dedicato al processo di pubblicazione pensato per fornire un aiuto ai giovani oncologi che debuttano nel mondo dell’editoria scientifica.
«L’ansia di pubblicare e l’inesperienza con il processo di pubblicazione, non sorprende che i giovani oncologi possano essere fuorviati da riviste poco serie. I colleghi più giovani possono anche ignorare altri aspetti del processo di pubblicazione, tra cui come selezionare la rivista più appropriata e come affrontare i commenti di revisione tra pari. Poiché la formazione sul processo di pubblicazione non viene fornita durante gli studi medici o la formazione in oncologia, vi è una chiara necessità di formazione su questo argomento per gli oncologi che muovono i primi passi nella carriera accademica», spiega Matteo Lambertini dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova relatore della sessione “How to write and respond to a critical peer review. ESMO Congress 2022” (11 settembre).
La peer review resta lo strumento migliore per garantire l’affidabilità scientifica di ciò che viene pubblicato, ma non è infallibile, come hanno dimostrato i diversi articoli pubblicati e poi ritirati durante i primi mesi della pandemia. «Giustamente, il principio della peer review esterna rimane il pilastro dell'editoria accademica; tuttavia, persistono problemi diffusi. È chiaro che lo stesso sistema di revisione tra pari ora deve essere rivisto e perfezionato per garantire che sia adatto allo scopo nell'era dell'editoria moderna», commenta Lambertini.
Il giudizio dei pari, per esempio, a volte potrebbe essere influenzato dai ricercatori che firmano lo studio, non sempre in forma anonima.
I giovani ricercatori sconosciuti potrebbero così venire penalizzati perché il loro nome non può servire da garanzia.
«Questo aspetto potrebbe essere in qualche modo mitigato avendo un accademico riconosciuto come autore finale di un manoscritto, ma questa non è un'opzione possibile per tutti i giovani ricercatori, in particolare quelli provenienti da paesi a basso o medio reddito (LMIC)», commenta Lambertini.