Cannabis terapeutica: non è un toccasana, ma per qualcuno è un grande aiuto
Nel sintetico vademecum ad uso esclusivo dei medici pubblicato sul BMJ la raccomandazione per l’uso della cannabis terapeutica per il dolore cronico è “debole”. Benefici e rischi quasi si bilanciano. Ma la scelta deve essere condivisa tra medici e pazienti
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I benefici superano i rischi ma non abbastanza da incoraggiarne l’uso. Non è però neanche il caso di sconsigliarla del tutto. La cannabis terapeutica nel trattamento del dolore cronico è stata oggetto di un’attenta valutazione da parte di un panel di esperti sul Bmj. Alla fine non c’è né promozione né bocciatura: la raccomandazione per il ricorso alla cannabis quando altre terapie hanno fallito è “debole”.
Nel sintetico vademecum ad uso dei medici pubblicato sul British Medical Journal, la cannabis non viene descritta come una svolta nella gestione delle sofferenze dei pazienti per cui non può essere raccomandata in maniera “forte”.
In sostanza significa che quando le cure standard non bastano più la cannabis terapeutica non inalata può essere presa in considerazione come terapia alternativa, ma i pazienti devono essere informati che i benefici procurati possono essere minimi.
La raccomandazione interessa gli adulti e i bambini che convivono con dolore cronico moderato o severo di diversa natura. Non vale per la cannabis fumata, vaporizzata o utilizzata per scopi ricreativi. Gli scienziati hanno escluso dalla loro indagine l’impiego della cannabis nei trattamenti di fine vita.
Il consiglio degli esperti fa parte di una iniziativa del Bmj chiamata “Rapid reccomendations” ideata per fornire ai medici delle linee guida rapide e affidabili per la pratica clinica basate su nuove evidenze scientifiche. In questo caso al centro dell’analisi c’è la cannabis terapeutica e la questione da risolvere in un paio di pagine al massimo è la seguente: qual è il ruolo della cannabis terapeutica o dei cannabinoidi per le persone affette da dolore cronico dovuto a un tumore o altre malattie? Per rispondere, gli scienziati hanno passato in rassegna 32 studi randomizzati sui benefici e i rischi della cannabis, 39 studi osservazionali sui danni a lungo termine, 17 studi sulla capacità della cannabis di ridurre la dipendenza da oppiodi e 15 studi sulle preferenze dei pazienti.
Dallo studio di tutto il materiale raccolto, i ricercatori hanno concluso con un elevato grado di certezza che la cannabis terapeutica non inalata o i cannabinoidi procurano un piccolo o molto piccolo miglioramento nell’intensità del dolore riportata dai pazienti, nella funzionalità fisica e nella qualità del sonno. La cannabis terapeutica non procura nessun beneficio sul piano emotivo, non migliora la socialità e non aumenta l’autostima.
D’altro canto però non ci sono neanche prove di effetti collaterali preoccupanti. Il panel di esperti non ha infatti trovato traccia di un’associazione tra l’uso della cannabis terapeutica e un aumento del rischio di psicosi. Gli unici disturbi emersi sono lievi e transitori, tra cui difficoltà di concentrazione, nausea, sonnolenza e vertigini.
Non sono state trovate infne prove sufficienti per dimostrare che la cannabis terapeutica o i cannabinoidi portino a una riduzione dell'uso di oppioidi per calmare il dolore.
«La raccomandazione è debole a causa di un bilanciamento tra benefici e danni della cannabis medica per il dolore cronico. E riflette il fatto che viene attribuito un valore elevato a miglioramenti da piccoli a molto piccoli nell'intensità del dolore auto-riferito, nel funzionamento fisico e nella qualità del sonno e alla volontà di accettare un rischio da piccolo a modesto di danni per lo più autolimitati e transitori. Il processo decisionale condiviso è necessario per garantire che i pazienti facciano scelte in linea con i loro valori e la situazione personale», spiegano i ricercatori.