Cautela doppia per i malati di Crohn: i farmaci assunti per la malattia fanno sviluppare meno anticorpi contro Covid-19
Il suo compito è quello di tenere a freno la reazione di un sistema immunitario “andato in tilt”. Il farmaco infliximab, indicato per la malattia di Crohn e diverse malattie autoimmuni, potrebbe però bloccare anche la produzione di anticorpi anti Sars-Cov-2 indotta dall’infezione o dal vaccino
Quanto dura la risposta immunitaria dopo aver contratto Covid-19? Ci si può infettare una seconda volta? Un nuovo studio inglese suggerisce che non c’è una risposta valida per tutti. Esiste infatti una categoria di persone che potrebbe essere molto più esposta di altre a contrarre nuovamente il virus. Si tratta dei pazienti con una malattia cronica intestinale in cura con infliximab, il farmaco più prescritto per questo tipo di patologie.
Si è scoperto infatti che infliximab indebolisce la risposta immunitaria successiva a un’infezione, lasciando probabilmente l’organismo incapace di difendersi da un nuovo attacco di Sars-Cov-2.
Gli effetti del farmaco sugli anticorpi sono emersi dallo studio CLARITY, una ricerca condotta nel Regno Unito che ha coinvolto 7mila pazienti con morbo di Crohn e colite ulcerosa tra settembre e dicembre 2020. Ebbene, meno della metà delle persone che seguivano la terapia con infliximab avevano anticorpi contro Sars-Cov-2 pur avendo contratto Covid-19. Questo significa che possono reinfettarsi? È possibile, ma su questo aspetto i ricercatori stanno ancora indagando e per ora invitano i pazienti a non sospendere la terapia. Gli scienziati sottolineano anche la necessità di monitorare nel tempo il titolo anticorpale delle persone in terapia con infliximab che sono state vaccinate.
«Le scarse risposte anticorpali osservate nei pazienti trattati con infliximab suggeriscono la possibilità che alcuni pazienti non sviluppino un'immunità protettiva dopo l'infezione da Covid-19 e potrebbero essere maggiormente a rischio di reinfezione. Quello che non sappiamo ancora è se le terapie a base di infliximab o di farmaci simili avranno un impatto sulle risposte anticorpali alla vaccinazione», ha dichiarato Tariq Ahmad, della University of Exeter Medical School che ha guidato lo studio.
Più di due milioni di persone nel mondo assume farmaci dello stesso tipo di infliximab, anticorpi monoclonali contro il fattore di necrosi tumorale (anti-TNF), per il trattamento di malattie autoimmuni, come artrite reumatoide, psoriasi, spondilite anchilosante. Si tratta di farmaci che funzionano come immunosoppressori, che mettono cioè un freno all’eccessiva e anomala attività del sistema immunitario.
È possibile che questa azione di contenimento venga rivolta anche verso le difese immunitarie anti-Covid indotte dal vaccino o dall’infezione.
Il sospetto avanzato dallo studio CLARITY pubblicato sulla rivista Gut sembra piuttosto fondato. I ricercatori hanno messo a confronto la risposta degli anticorpi a Sars-Cov-2 dei pazienti affetti da malattie infiammatorie intestinali trattati con infliximab con quella dei pazienti in terapia con vedolizumab, un immunosoppressore che agisce solo nell’intestino senza alterare la risposta complessiva del sistema immunitario.
I pazienti in terapia con infliximab avevano un livello di anticorpi più basso rispetto agli altri.
I ricercatori non possono però escludere che l’organismo possa trovare strade alternative per difendersi ricorrendo a risorse immunitari ediverse dagli anticorpi.
«I risultati di CLARITY sono un primo passo importante per aiutarci a capire come i diversi farmaci per il morbo di Crohn e la colite influenzano la risposta di una persona al coronavirus. In questa fase il messaggio chiave è che le persone con queste malattie dovrebbero continuare a prendere i loro farmaci per stare bene e fare il vaccino quando gli viene offerto», ha commentato Sarah Sleet, amministratore delegato di Crohn's & Colitis UK.