Covid. Nessun rischio aggiuntivo per i pazienti con sclerosi multipla

Lo studio

Covid. Nessun rischio aggiuntivo per i pazienti con sclerosi multipla

Il rischio di andare incontro a forme più gravi leggermente più alto per chi assume trattamenti che sopprimono i linfociti B o è sottoposto a terapie con cortisone prima dell’esordio dei sintomi. L’interferone sembra invece avere un’azione protettiva

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Immagine: Mstyslav Chernov, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
di redazione

I pazienti con sclerosi multipla che si ammalano di Covid-19 non sono sono molto diversi dalla popolazione generale per caratteristiche della malattia e per rischio di andare incontro a una forma più severa. 

È questo il dato più importante emerso dall’ultima analisi dello studio internazionale Musc-19, uno studio osservazionale sul rapporto tra Covid-19 e sclerosi multipla i cui dati sono stati ora pubblicati sulla rivista Annals of Neurology.

La ricerca ha preso in considerazione 844 persone con sclerosi multipla in cura in 85 centri italiani. 

I pazienti dello studio avevano o ricevuto una diagnosi di Covid-19, essendo risultati positivi al test, o avevano sintomi fortemente associati al Covid-19 e/o un contatto con un caso positivo nei 14 giorni precedenti la comparsa dei sintomi. 

«Un dato chiaro è che non sono emersi segnali allarmanti», dice Maria Pia Sormani, ordinario di Biostatistica all’Università di Genova, che gestisce la piattaforma MuSC-19.

Infatti su 844 pazienti, 708 (cioè l’84%) hanno avuto una malattia leggera. I pazienti che sono stati ricoverati in ospedale ed hanno avuto una malattia più aggressiva sono simili per caratteristiche ai pazienti gravi nella popolazione sana: persone in età più avanzata, tendenzialmente di sesso maschile, con alta disabilità. 

«Questi risultati sottolineano l’importanza di applicare strategie di prevenzione accurate, durante questa pandemia, per le persone con disabilità elevata e con età maggiore di 60 anni», dice ancora Sormani. 

Per quel che concerne le specificità legate alla sclerosi multipla, invece, è  stata osservata una tendenza a sviluppare forme più serie di Covid-19 in quanti assumevano terapie che sopprimono i linfociti B o in coloro che erano stati sottoposti a terapie con cortisone poco prima l’esordio dei sintomi. Al contrario ci sono indizi che la terapia con interferone eserciti un certo grado di protezione. 

Nel campione analizzato si sono verificati 13 decessi (1,5%), di questi 11 erano in fase progressiva di malattia e 8 senza terapia. 38 (4,5%) sono stati ricoverati in un'unità di terapia intensiva o sub-intensiva, 99 (11,7%) hanno avuto una polmonite radiologicamente documentata e 96 (11,4%) sono stati ricoverati in reparti non intensivi.

Al di là dei risultati, lo studio rappresenta un importante banco di prova metodologico per la ricerca italiana. «Questo studio attesta, una volta di più, la capacità dei centri per la sclerosi multipla italiani di collaborare, fra loro e con FISM, e di farlo ad un alto livello scientifico», dice Marco Salvetti, direttore di Neurologia all'Ospedale Universitario Sant'Andrea di Roma. «Ciò consente di dare risposte rapide ma non per questo meno affidabili, anche in situazioni di grande difficoltà come quella generata dalla pandemia. L’intento ora è di rilanciare ulteriormente per cercare, sempre attraverso collaborazioni nazionali, di volgere le cose in positivo e “sfruttare” questa situazione per capire sempre meglio le cause della sclerosi multipla».