Un’altra bocciatura per l’omeopatia: le poche prove a suo favore sono inaffidabili
Mancano i requisiti richiesti dalla scienza per i farmaci. Molti trial clinici non sono registrati. La metà di quelli registrati non è pubblicata. In un quarto degli studi pubblicati l’outcome primario è diverso da quello iniziale. E poi vengono pubblicati solo i trial con risultati positivi
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Delle due l’una: l’omeopatia proprio non funziona, oppure se funziona non ne abbiamo le prove. E dal punto di vista della scienza cambia poco, pochissimo, anzi niente. Perché da Galileo Galilei in poi gli scienziati pretendono la dimostrazione dei fatti prima di accettare una verità. E nel caso dell’omeopatia la dimostrazione della sua efficacia non c’è.
Poco importa se non c’è perché effettivamente le medicine alternative non hanno alcun potere terapeutico o perché non si è ancora riuscito a dimostrare che ce l’abbiano. In base alle regole condivise dalla comunità scientifica l’onere della prova spetta al farmaco. L’omeopatia, in sostanza, deve dimostrare di essere efficace e la scienza deve valutare se la dimostrazione è convincente oppure no. La partita si gioca tutta sui trial clinici, le sperimentazioni che normalmente vengono registrate nelle apposite piattaforme dove sono indicati gli obiettivi prefissati (outcome), il numero di partecipanti e le modalità di indagine (randomizzazione, controllo con placebo, doppio cieco ecc…).
Ebbene, secondo uno studio appena pubblicato su BMJ Evidence Based Medicine le prove a favore dell’omeopatia fornite finora sono troppo scarse per dare credito alla tesi del “simile che cura il simile” proposta per la prima volta dal medico tedesco Samuel Hahnemann circa duecento anni fa, perché molti trial clinici non sono stati neanche registrati e tra quelli registrati in oltre un quarto dei casi l’outcome principale, ossia ciò che si voleva dimostrare inizialmente, è stato cambiato nel corso dello studio.
Tutto ciò indica «una preoccupante mancanza di standard scientifici ed etici nel campo dell’omeopatia», affermano i ricercatori.
I sostenitori dell’omeopatia spesso citano in loro favore una review sistematica che riporta differenze di efficacia significative tra i medicinali omeopatici e il placebo. Gli scettici rispondono riferendosi alle conclusioni dell’Australian National Health and Medical Research Council in seguito all’analisi di 57 review su 68 condizioni cliniche secondo le quali «non esiste alcuna condizione di salute per la quale ci siano prove affidabili che l’omeopatia sia efficace».
In questo confronto, fanno notare gli autori del nuovo studio, manca un dato fondamentale per poter prendere le parti degli uni o degli altri, che è il numero totale di studi condotti sull’omeopatia. I ricercatori infatti sospettano che gli studi randomizzati e controllati sui farmaci omeopatici utilizzati come prova per assolvere le cure alternative dalle accuse di inefficacia rappresentino solo una piccola percentuale di tutte le sperimentazioni avviate e che quindi non siano rappresentativi della verità sull’omeopatia. Il fenomeno è noto come “reporting bias”, e consiste in un vizio nella segnalazione dei risultati per cui vengono resi pubblici solo i dati positivi, tacendo gli altri. In questo caso la famosa metanalisi a favore dell’omeopatia non potrebbe essere considerata affidabile perché i trial clinici con risultati positivi sarebbero sovra-rappresentati rispetto a quelli con risultati negativi o inconcludenti.
I ricercatori hanno quindi voluto affrontare il caso dell’omeopatia da una prospettiva poco o per nulla esplorata, quella dei trial clinici randomizzati con placebo (i più affidabili per valutare l’efficacia di un farmaco) rimasti nell’ombra. Il loro studio aveva quattro obiettivi: determinare la percentuale di trial clinici sull’omeopatia registrati ma non pubblicati, confrontare l’outcome introdotto all’inizio dello studio con quello presente nella pubblicazione, calcolare la percentuale di studi pubblicati che è stata registrata, valutare l'impatto del “reporting bias”. Va specificato che la registrazione e la pubblicazione degli studi sull’omeopatia non sono obbligatorie ma vengono considerate eticamente necessarie.
Dal 2002 al 2021, circa il 38 per cento dei trial clinici registrati non è stato pubblicato e oltre la metà (53%) degli studi pubblicati non era stata registrata.
Gli scienziati hanno anche scoperto che molti studi venivano registrati dopo essere stati avviati (retrospettivamente) rispetto a prima di iniziare (registrazione prospettica). Inoltre, in un quarto (25%) dei casi gli outcome primari pubblicati non erano gli stessi di quelli originariamente registrati. Infine, i trial clinici non registrati erano anche quelli che con il maggior numero di risultati positivi.
«La registrazione degli studi pubblicati è avvenuta raramente, molti studi registrati non sono stati pubblicati e gli outcome primari sono stati spesso alterati o modificati. Ciò probabilmente influisce sulla validità del corpo di prove della letteratura sull’omeopatia e può sostanzialmente sovrastimare il vero effetto del trattamento dei rimedi omeopatici», concludono i ricercatori.