Ancora nuovi dati sull’origine della pandemia: al mercato di Whuan convivevano animali selvatici e Sars-Cov-2

Covid-19

Ancora nuovi dati sull’origine della pandemia: al mercato di Whuan convivevano animali selvatici e Sars-Cov-2

È uscito il primo studio peer-review che analizza i campioni prelevati al mercato ittico di Whuan nelle prime settimane della pandemia. Lo hanno realizzato i ricercatori del CDC cinese ed è pubblicato su Nature: il punto ferma è la convivenza di animali selvatici e virus. Ma non si va oltre

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Immagine: National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione

Al mercato di Huanan a Wuhan in Cina nelle prime settimane della pandemia c’erano diversi animali selvatici e c’era Sars-Cov-2. In poche parole: dopo tre anni di ricerche siamo arrivati alla prova della presenza di un sospettato nel luogo del delitto al momento del delitto. Che non è poco, ma non è neanche tanto.

Più precisamente: nei campioni ambientali risultati positivi al virus raccolti dal 1°gennaio 2020 sono state trovate tracce di Dna di specie animali che erano palesemente “fuori contesto” (si parla di procioni, pipistrelli, zibetti delle palme) e che è risaputo siano suscettibili alle infezioni di coronavirus.  A dimostrarlo sono i risultati della tanto attesa analisi, la prima peer-review sui campioni di Whuan, condotta dal Center for Disease Control and Prevention cinese (China CDC) pubblicati il 5 aprile su Nature. Le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori non hanno la forza, almeno per ora, di chiudere definitivamente il caso che tiene impegnati gli scienziati da tre anni a questa parte. La convivenza tra animali selvatici e Sars-Cov-2 è un dato di fatto che rafforza l’ipotesi dell’origine naturale rispetto alla quella della fuga dal laboratorio, ma che non può ancora essere considerato il punto di arrivo delle indagini sulle origini della pandemia. I ricercatori affermano apertamente che l’origine del virus resta incerta e che il loro studio si limita a fornire informazioni «sulla distribuzione e la prevalenza di Sars-CoV-2 nel mercato ittico di Huanan durante le prime fasi dell'epidemia di Covid-19». 

Insomma, in base a quest’ultima ricerca l’ipotesi dello spillover, del salto di specie da un animale in vendita al mercato di Whuan all’uomo resta in piedi, anche solidamente, ma resta pur sempre un’ipotesi. 

Lo studio appena pubblicato è l’ultimo di una serie di ricerche che hanno analizzato i campioni del mercato di Whuan ed è il primo ad aver passato la peer review. 

I risultati concordano con una analisi separata condotta dagli stessi ricercatori uscita precedentemente in versione pre-print dalla quale non emergeva alcuna prova che gli animali, le cui tracce erano presenti nei campioni ambientali, fossero stati infettati dal virus.

A conclusioni simili era giunto anche un team di ricercatori internazionale che aveva analizzato gli stessi dati genomici inseriti dal CDC cinese sulla piattaforma GISAID, ma in quel caso gli scienziati si erano sbilanciati maggiormente nell’interpretazione. Poche settimane fa veniva infatti pubblicato uno studio, non sottoposto a peer-review, secondo il quale la presenza di animali selvatici negli stessi ambienti dove erano stati trovati campioni positivi a Sars-Cov-2 non poteva essere considerata una coincidenza. La spiegazione più plausibile doveva essere un’altra:  gli animali erano infetti. Gli autori dello studio suggerivano che il procione potesse essere stato l’ospite intermedio nel salto di specie, un animale che è suscettibile all’infezione da Sars-Cov-2 e che è potenzialmente capace di trasmetterlo. Mancano tuttora prove certe. 

Un passo avanti nelle indagini potrebbe arrivare dalle ulteriori analisi dei dati genetici che i ricercatori cinesi hanno inserito in un database pubblico

Sarebbe importante scoprire, innanzitutto,  se gli animali il cui Dna è stato trovato nei campioni positivi mostrino segni di attivazione del sistema immunitario, indicativi di un’infezione in corso al momento in cui è stato effettuato il prelievo, ossia all’inizio della pandemia.  A quel punto la presenza del virus nei campioni potrebbe essere più facilmente attribuita all’animale infettato piuttosto che a una coincidenza. La ricerca continua.