Le microplastiche non sono tutte uguali: alcune danneggiano più la salute, altre l’ambiente  

Lo studio

Le microplastiche non sono tutte uguali: alcune danneggiano più la salute, altre l’ambiente  

di redazione

Alcuni tipi di microplastiche sono dannose per l’uomo, altri per l’ambiente. È la conclusione a cui è giunto uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) che ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials.

In un sistema che simula un fiume o un lago italiano i ricercatori hanno osservato l’impatto di diverse microplastiche sulle comunità di batteri. In particolare hanno messo a confronto le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) di una bottiglia, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato. 

«Abbiamo quindi dimostrato che la prima offre rifugio a batteri patogeni umani che possono causare rischio immediato per la salute umana, senza però favorirne una crescita immediata. Le particelle di pneumatico, grazie al rilascio costante di materia organica e nutrienti, favoriscono invece la crescita abnorme di batteri cosiddetti opportunisti che, pur non causando un rischio diretto per l'uomo, causano una perdita di qualità ambientale, di biodiversità microbica, e un conseguente depauperamento dei servizi ecosistemici offerti», Gianluca Corno del Cnr-Irsa.

Generalmente le comunità batteriche che crescono sulle microplastiche come biofilm sono studiate senza approfondirne le differenze legate al tipo di plastica su cui proliferano, ma come un unico comparto, la cosiddetta plastisfera. «Questo risultato ci pone, per la prima volta, di fronte alla necessità di riconsiderare i metodi di analisi dell'inquinamento da microplastiche e di tenere in conto le particelle di pneumatico, che possono avere un impatto decisivo sulla qualità degli ecosistemi acquatici in nazioni come l'Italia dove i fiumi sono particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento», conclude Corno.

La ricerca è stata finanziata nell'ambito del progetto AENEAS da AXA Research Fund.