Il Nobel per la medicina a Svante Pääbo, padre della paleogenetica: nel Dna degli ominidi estinti sono contenute informazioni sulla nostra salute
Noi Homo sapiens possediamo i geni dei Neanderthal e dei Denisoviani perché ci siamo incrociati con queste specie nei millenni di convivenza. E ancora oggi influenzano la nostra salute. Le scoperte di Pääbo ci dicono chi siamo, da dove veniamo ma anche a quali malattie siamo esposti
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La pagina di Wikpedia alla voce “Svante Pääbo” è stata aggiornata immediatamente. Ora recita così: “biologo svedese ritenuto uno dei fondatori della paleogenetica, vincitore del Premio Nobel per la Medicina nel 2022. L’annuncio del premio da parte della Nobel Assembly del Karolinska Institutet era arrivato pochi minuti prima con la seguente motivazione: “per le sue scoperte sul genoma degli ominidi estinti e sull’evoluzione umana”.
Con i suoi studi Svante Pääbo, classe 1955, è riuscito a dare una risposta alla domanda delle domanda: da dove veniamo? Trovando una spiegazione scientifica ai quesiti esistenziali su Homo sapiens. Ma ha fornito anche informazioni preziose per comprendere alcuni aspetti della sua salute, le fragilità e i punti di forza che provengono da molto lontano.
E lo ha fatto sequenziando il genoma del Neanderthal, scoprendo l’uomo di Denisova, un ominide precedentemente sconosciuto, dimostrando che i geni di questi ominidi estinti si sono trasferiti all'Homo sapiens in seguito alla migrazione dall'Africa circa 70mila anni fa. Scoperte eccezionali che all’apparenza sembrano riguardare però il campo della biologia evoluzionistica. Come si spiega il Nobel per la medicina? Pääbo è il fondatore di una disciplina completamente nuova, la paleogenetica, che con la medicina ha molto a che fare. E sono gli stessi membri dell’Assemblea che hanno fatto la scelta a spiegarlo: «Questo antico flusso di geni giunto agli esseri umani di oggi ha una rilevanza fisiologica attuale, influenzando per esempio il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni» si legge sulla lunga nota che segue alla stringata motivazione d’apertura. I geni dei Neanderthal o dei Denisoviani che sono ancora in noi incidono, a volte nel bene, altre nel male, sulla nostra salute.
Cos’è la paleogenomica e a cosa serve
Con gli esempi si fa prima. Il gene EPAS1 comune tra i tibetani di oggi che conferisce un vantaggio per la sopravvivenza in alta quota è di origine denisoviana. I geni ereditati dai Neanderthal che influenzano la risposta immunitaria possono aumentare il rischio di malattia grave in caso di Covid. Lo sappiamo grazie alle scoperte di Svante Pääbo.
Da dove veniamo
Tutto parte dall’Africa, 300mila anni fa. È il dove e il quando della comparsa di Homo sapiens. Ma Homo sapiens non era solo al mondo e “presto” lo avrebbe scoperto. I suoi parenti più stretti i Neanderthal, si erano sviluppati al di fuori dell'Africa e avevano popolato l'Europa e l'Asia occidentale a partire da 400mila anni fa restandoci fino a circa 30mila anni fa quando si estinsero. Poi la storia prosegue con “Out of Africa”, 70mila anni fa. È la prima svolta decisiva nell’evoluzione dell’umanità. Alcuni gruppi di Homo sapiens migrarono dall'Africa al Medio Oriente e, da lì, si diffusero nel resto del mondo, facendo incontri ravvicinati con gli altri abitanti. Homo sapiens e Neanderthal hanno convissuto in gran parte dell'Eurasia per decine di migliaia di anni. Le ricerche di Pääbo hanno permesso di scoprire come si sono intrecciate le due specie in quel periodo.
L’impresa impossibile
Dopo migliaia e migliaia di anni, del Dna originale non c’è più traccia. Con il tempo il patrimonio genetico subisce modifiche chimiche, si degrada in frammenti non più analizzabili, viene contaminato da microrganismi contemporanei. All’inizio degli anni Novanta quando tutti i genetisti erano concentrati sul progetto genoma umano appena lanciato, Svante Pääbo si chiedeva invece come utilizzare le nuove tecniche di analisi genetica per studiare il Dna arcaico dei Neanderthal. L’intuizione è arrivata mentre era professore all’Università di Monaco: bisognava concentrarsi sul Dna dei mitocondri di Neanderthal, gli organelli nelle cellule che contengono il proprio Dna. Non ci si poteva aspettare granché: da lì sarebbero arrivate poche informazioni, ma buone. Il genoma mitocondriale, infatti, è piccolo e contiene solo una frazione dell'informazione genetica nella cellula, ma è presente in migliaia di copie, e così le possibilità di poterlo analizzare aumentano significativamente.
Pääbo è riuscito a sequenziare una regione di Dna mitocondriale da un frammento di osso di 40mila anni. Per la prima volta ci venivano presentati (geneticamente parlando) i nostri parenti stretti estinti. Gli studi di Pääbo dell’epoca avevano dimostrato che i Neanderthal erano geneticamente distinti dagli esseri umani e dagli scimpanzé viventi. Ma si erano fermati lì.
Il Dna mitocondriale non poteva raccontare molto di più.
Il passo avanti
La svolta poteva arrivare solo dal sequenziamento del genoma nucleare. E così, osso dopo osso, il team di Pääbo insediatosi al Max Planck Institute di Lipsia, in Germania, ha affinato le tecniche per isolare e analizzare il Dna arcaico fino a raggiungere nel 2010 il traguardo insperato: pubblicare la prima sequenza del genoma dei Neanderthal. Quel risultato ha permesso di ricostruire i rapporti tra Homo sapiens e i Neanderthal. I dati genetici hanno fornito la prova che Neanderthal e Homo sapiens si erano incrociati durante i loro millenni di convivenza. E le tracce di quegli incroci lontani sono ancora visibili oggi. Negli esseri umani moderni con discendenza europea o asiatica, circa l’1-4 per cento del genoma proviene dai Neanderthal.
L’uomo di Denisova
Un piccolo frammento dell’osso di un dito aveva custodito per oltre 40mila anni campione di DNA eccezionalmente ben conservato. È stato scoperto nel 2008 nella grotta di Denisova, nella parte meridionale della Siberia.
Il team di Pääbo lo ha sequenziato scoprendo un ominide nuovo fino ad allora sconosciuto, geneticamente diverso dai Neanderthal e degli esseri umani di oggi. Si trattava di un altro parente estinto. I geni dei Denisova erano infatti in qualche modo arrivati anche a Homo sapiens. Gli individui delle popolazioni della Melanesia e di altre parti del sud-est asiatico possono ancora ancora possedere fino al 6 per cento di DNA Denisova.
Era stato inserito un nuovo tassello nel puzzle della storia evolutiva dell’umanità. All'epoca in cui Homo sapiens uscì dall'Africa, almeno due popolazioni di ominidi estinte abitavano l’Eurasia: i Neanderthal che vivevano nell'Eurasia occidentale e i Denisoviani che popolavano le parti orientali del continente. Homo sapiens si è incrociato con entrambe. E ancora oggi ci sono tracce di quegli incroci nel nostro Dna.