Un nuovo tassello nella comprensione della SLA

Studio italiano

Un nuovo tassello nella comprensione della SLA

L’enzima ubiquitina svolge un ruolo decisivo nell’innesco dei processi che portano alla degenerazione dei neuroni

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Immagine: CrazyPhunk, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
di redazione

Un piccolo passo nella comprensione dei processi che portano allo sviluppo di malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica. Un gruppo di ricerca dell’Istituto Firc di Oncologia Molecolare di Milano (IFOM) in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano ha identificato nell’enzima ubiquitina un attore decisivo per dare il via alle anomali nella comunicazione tra le varie componenti delle cellule che portano al danneggiamento e alla morte dei neuroni.

Con un’incidenza di 2 casi ogni 100 mila persone, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia rara. I suoi numeri, però, sono tutt’altro che irrilevanti: solo in Italia, infatti, colpisce circa mille persone ogni anno. È una patologia fortemente invalidante, con ricadute sulle capacità motoria, della parola, della deglutizione e della respirazione. L’aspettativa di vita di un paziente affetto da SLA sono dai 2 ai 5 anni e attualmente non esiste una cura né un trattamento efficace per arrestare o rallentare significativamente la malattia.

Nonostante il grande sforzo profuso dalla ricerca, a oggi i progressi sono limitati poiché le cause alla base di questa malattia multifattoriale non sono ancora del tutto chiare.

È qui che si inserisce lo studio condotto dai ricercatori Ifom e pubblicato sulla rivista Nature Communications che, grazie all’utilizzo di un approccio sperimentale innovativo, ha ricostruito un significativo tassello dei meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza della malattia.

Sincronizzazione perfetta

Per guidare il corretto sviluppo e la funzionalità dei neuroni, così come dei tessuti germinali, è necessario che all’interno della cellula si verifichi un perfetto coordinamento spazio-temporale tra i diversi attori e le loro azioni: alcune proteine devono essere prodotte solo in un dato momento e in un dato luogo.

«Questo coordinamento avviene grazie all’impacchettamento del loro RNA messaggero in organelli proteici chiamati RNP (ribonucleoproteine)», spiega la coordinatrice dello studio Simona Polo, responsabile del laboratorio IFOM Complessi molecolari e trasmissione del segnale e docente presso Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia all’Università degli Studi di Milano. «I fattori proteici esercitano un controllo molto rigoroso sull’RNA impedendone la traduzione in proteine fino all’arrivo a destinazione. Se questo controllo viene a mancare, per esempio a causa di mutazioni in alcuni di questi fattori, si compromette l’integrità neuronale e si promuove l’insorgenza di malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la demenza frontotemporale (FTD). Conoscere il meccanismo di regolazione costituisce pertanto un passo essenziale verso la cura».

Grazie alla combinazione di sofisticati modelli biofisici e all’adozione di uno specifico modello, il moscerino della frutta o Drosophila melanogaster, i ricercatori hanno individuato nell’ubiquitina il motore della regolazione.

Se il coordinamento salta

«Si tratta di una molecola-segnale che viene attaccata come una bandierina sui componenti della cellula con funzione regolatoria. È proprio l’ubiquitina a modificare le RNP e a impedire la traduzione dell’mRNA», afferma Elena Maspero, che ha curato lo studio accanto a Simona Polo grazie al sostegno di Fondazione CARIPLO.«Le RNP non sono organelli tradizionali circondati da membrane come il nucleo o i mitocondri, ma granuli liquidi che si separano nella cellula come una goccia d’olio in acqua: in mancanza dell’ubiquitina questi granuli acquisiscono una consistenza gelatinosa dove gli scambi tra i componenti al loro interno sono compromessi. Di conseguenza viene meno anche la regolazione dell’mRNA e i neuroni, così come i tessuti germinali, sono danneggiati e muoiono. Per questo motivo, i moscerini hanno problemi di fertilità e vivono di meno, sviluppando problemi motori che ricordano quelli della SLA».

«Questi esperimenti illustrano come la ricerca di base con sistemi modello possa essere estremamente utile a chiarire i meccanismi genetici, molecolari e cellulari alla base delle patologie umane, in particolare le malattie rare come la SLA che non sempre beneficiano di ingenti investimenti di ricerca. È un approccio che permette di studiare i moscerini quasi come fossero “avatar” genetici dei pazienti e può essere adottato per molte altre patologie», commenta Thomas Vaccari, cofirmatario dello studio e docente presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano.

Un passo avanti verso una terapia

«Avere identificato un enzima, l’ubiquitina ligasi Hecw, che regola specificatamente un processo alla base di malattie neurodegenerative come la SLA, rappresenta un ulteriore tassello che la ricerca aggiunge nella via verso il loro trattamento», aggiunge Simona Polo. «E questo è particolarmente importante in un campo come quello delle malattie neurodegenerative, nel quale c’è grande mancanza di interventi terapeutici risolutivi. Capire quali sono i fattori coinvolti nello sviluppo delle malattie offre nuovi bersagli per lo sviluppo di farmaci specifici. Inoltre, ora sappiamo che anche per queste patologie la tempestività d’intervento è molto importante: identificare fattori che, se mutati, possono portare allo sviluppo di malattie è fondamentale per avere dei nuovi riferimenti per la diagnosi precoce».

Lo studio è statoe realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo, del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Progetti di rilevante interesse nazionale, PRIN) e di Fondazione AIRC.