La SLA al microscopio, nuova luce su uno dei meccanismi alla base della malattia
Studi di laboratorio gettano luce sui meccanismi alla base della sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Un team di ricercatori dell’Università di Firenze in collaborazione con un gruppo dell’Università di Genova è giunto alla classificazione e quantificazione esatta dei depositi di una precisa proteina (TDP-43) che, in modo anomalo, si sposta fuori del nucleo dei motoneuroni, le cellule nervose che dal cervello trasmettono lo stimolo ai muscoli per la loro attivazione.
La ricerca, pubblicata su Science Advances, è stata cofinanziata da Fondazione AriSLA, ente non profit che finanzia gli studi su questa patologia, e con fondi del Bando Fondazione CR Firenze – Università di Firenze sulle malattie neurodegenerative.
«Abbiamo riprodotto in laboratorio il meccanismo patogenetico che riguarda i motoneuroni: le ricerche sulla SLA ci dicono che nella grande maggioranza dei casi la proteina TDP-43, che svolge la propria funzione nei nuclei delle cellule, si deposita in forma di inclusioni al di fuori del nucleo dei motoneuroni, nel citoplasma delle loro cellule. Ciò comporta due conseguenze negative: viene a mancare la proteina funzionale nel nucleo e queste inclusioni proteiche si accumulano nel citoplasma con azione nociva. La conseguenza è che il paziente con SLA non riesce a muovere i propri muscoli a causa del malfunzionamento dei motoneuroni», spiega Fabrizio Chiti, ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell’Ateneo fiorentino, coordinatore dello studio.
Riproducendo questo meccanismo in cellule in coltura simili ai motoneuroni, grazie alla microscopia confocale STED (Stimulated emission depletion) e alla sua alta risoluzione, i ricercatori hanno isolato e contato nel tempo una per una le inclusioni di TDP-43 attribuendole a classi in base alla dimensione.
«Attraverso un modello matematico e un'analisi di global fitting che include tutti gli andamenti temporali osservati per le varie classi, è stata descritta la formazione nel tempo di tutte le classi di inclusioni, identificando le inclusioni maggiormente responsabili della malattia. E queste sono risultate essere quelle di grandi dimensioni, a differenza di quanto succede nella maggior parte delle malattie neurodegenerative», hanno dichiarato le ricercatrici Roberta Cascella e Alessandra Bigi, entrambe prime autrici del lavoro.
Lo studio ha permesso inoltre di capire che le inclusioni più grandi sono “attaccate” dai sistemi protettivi di controllo di qualità presenti all’interno delle nostre cellule (proteasoma e autofagia), che tuttavia non riescono a eliminarle del tutto e a risolvere completamente il problema.
«Risultati come questo accendono un riflettore sull’importanza di investire nella ricerca. Fondazione CR Firenze sostiene le carriere dei ricercatori con circa 120 assegni/borse di ricerca ogni anno e grazie a bandi specifici, in questo caso quello sulla malattie neurodegenerative finanziato per due annualità e per un totale di un milione di euro, contribuisce a sviluppare nuovi studi o realizzare infrastrutture di ricerca innovative. I nostri complimenti al team che ha aggiunto un tassello importante per comprendere una delle patologie neurodegenerative più complesse e invalidanti», afferma Gabriele Gori, Direttore Generale di Fondazione CR Firenze.