Nel 2019 più di 3 mila medici si sono dimessi dagli ospedali. In dieci anni sono aumentati dell'81%
Nel 2019, 3.123 medici ospedalieri (il 2,9% del totale) hanno deciso di dare le dimissioni, di lasciare il lavoro prima di andare in pensione.
A questa conclusione giunge uno studio dell'Anaao Assomed, il principale sindacato della dirigenza medica del Servizio sanitario nazionale, appena realizzato su dati del Conto annuale del Tesoro.
Il 2,9% è la media nazionale, ma il fenomeno ha interessato alcune Regioni più di altre: nelle Marche, per esempio, nel 2019 si è dimesso il 6,6% dei medici ospedalieri; a seguire il Veneto con 5,9%, poi Valle d’Aosta (3,8%) e Piemonte (3,5%). Le Regioni in cui maggiori sono le dimissioni volontarie sono quelle del Nord: è possibile, secondo gli autori dello studio, che la ragione sia da ricercare nelle maggiori opportunità di lavoro nell’ospedalità privata o nel settore libero professionale.
Se si analizza il trend degli ultimi dieci anni, la percentuale di medici che si sono dimessi dagli ospedali risulta in aumento in quasi tutte le Regioni italiane. In numero assoluto si è passati da una media di 1.849 medici dimessi nel 2009 a 3.123 nel 2019. Ma se si analizzano le dimissioni in relazione al numero totale di medici dipendenti, si è passati da 1,6% di dimessi nel 2009 a 2,9% nel 2019. In dieci anni, i medici che si licenziano sono aumentati dell'81%.
Più in dettaglio, nel Veneto le dimissioni si sono quintuplicate in dieci anni, (465 nel 2019); in Lombardia, che nel 2009 contava numeri già alti, le dimissioni sono aumentate di 2,5 volte, nelle Marche e in Piemonte di oltre tre volte.
L’andamento mostra inoltre che la curva dei licenziati si impenna proprio negli ultimi tre anni. Nel complesso non si registrano differenze di genere significative.
Le ragioni della fuga
Secondo gli autori dello studio, le cause dell'abbandono vanno ricercate nei numerosi problemi degli ospedali italiani.
Per esempio, il taglio del personale e la carenza di specialisti hanno creato organici sempre più ridotti «rendendo insostenibile il carico di lavoro». Il lavoro burocratico «è diventato intollerabile» mentre «l’autonomia decisionale è svilita, la professionalità poco premiata e per nulla incentivata». Il lavoro dei medici «ha perso valore, anche economico, come il proprio ruolo sociale». Il rischio di denunce legali e aggressioni, verbali e fisiche, è aumentato negli anni. Le ambizioni di carriera sono state rese scarse.
In queste condizioni, sostiene lo studio, il privato diventa sempre più attrattivo, anche per la possibilità di un trattamento fiscale agevolato del reddito prodotto, mentre la medicina di famiglia o specialistica ambulatoriale lo diventano per il fatto di non contemplare lavoro notturno e festivo.
C’è inoltre da scommettere, secondo gli autori, che la pandemia da Covid-19 aggraverà le fuoriuscite. Lo si vedrà probabilmente dal 2021, «perché nel 2020 lo spirito di servizio ha certamente fatto posticipare la scelta di dimettersi».
In conclusione, i dati dei licenziamenti volontari «paiono un grido di aiuto», avverte l'Anaao Assomed, e «sono un segnale di allarme rispetto all’inizio della fine del sistema sanitario pubblico e universalistico per come lo conosciamo, che semplicemente non esiste senza i suoi medici. Se la politica non interviene, e rapidamente, per motivare, valorizzare, premiare e trattenere i medici ospedalieri, gli ospedali diventeranno quinte teatrali anche se ammodernati dal punto di vista tecnologico e digitale e resi resistenti ai terremoti. Ma non a quelli provocati dalla fuga delle competenze e delle conoscenze».