Covid-19 non è l’unica epidemia da temere. C’è anche quella delle malattie croniche. E il connubio è fatale
Stiamo affrontando una sindemia, ossia più emergenze sanitarie insieme. A Covid-19 si aggiunge l’epidemia altrettanto globale delle malattie croniche. Il virus ha dato il colpo di grazia a un mondo che era già in condizioni di salute precarie. Il Global Burden of Disease Study su Lancet
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L’acuto si è sommato al cronico scatenando la tempesta perfetta che ha travolto il mondo. Covid-19 ha dato il colpo di grazia alla popolazione globale che negli ultimi 30 anni ha assistito a una crescita esponenziale delle malattie croniche e dei fattori di rischio che le scatenano. Obesità, ipertensione, diabete, inquinamento atmosferico, un’alimentazione scorretta hanno fornito terreno fertile alla furia distruttiva della pandemia. Gli ultimi dati del Global Burden of Disease Study, pubblicati oggi nel numero speciale del Lancet , bastano e avanzano a fornire argomenti per i mea culpa dei tanti, anzi tantissimi, governi che non hanno investito nella prevenzione delle malattie non trasmissibili rendendo la popolazione una preda facile dell’attuale nuova minaccia e delle altre che potrebbero arrivare in futuro. Tutte le malattie croniche, come obesità, diabete e malattie cardiovascolari, rendono l’infezione da Sars-Cov-2 particolarmente rischiosa. La pandemia ha inoltre acuito le diseguaglianze socio-economiche. Per gli esperti di salute pubblica è il caso di parlare di “sindemia”, con tre epidemie che viaggiano parallele: quella del nuovo coronavirus, quella delle malattie corniche e quella della povertà.
«Covid-19 è un'emergenza sanitaria acuta su una cronica. E la cronicità della crisi attuale viene ignorata a nostro rischio per il futuro. Le malattie non trasmissibili hanno dato un contributo fondamentale agli oltre 1 milione di decessi causati dal Covid-19 fino ad oggi e continueranno a compromettere la salute in ogni Paese dopo che la pandemia si sarà esaurita. Mentre ci occupiamo di come ricostruire i nostri sistemi sanitari sulla scia di Covid-19, questo studio sull’impatto globale delle malattie offre uno strumento per interventi mirati che colgano le differenze tra Paese e Paese», ha dichiarato Richard Horton, direttore del Lancet.
Gli autori dello studio hanno analizzato 286 cause di morte, 369 malattie e 87 fattori di rischio in 204 Paesi, rivelando quanto la salute della popolazione mondiale fosse già precaria prima di Covid-19.
La gravità di una malattia a livello globale viene misurata in Daly, (Disability-adjusted life year, attesa di vita corretta per disabilità), una misura che corrisponde al numero di anni persi a causa di una patologia (perché si muore o perché si rimane disabili). Nella top ten delle malattie con l’impatto maggiore ce ne sono sei che riguardano le persone anziane: cardiopatia ischemica (con un numero di Daly in aumento del 50% tra il 1990 e il 2019), diabete (fino al 148%), ictus (32%), malattia renale cronica (93%), cancro ai polmoni (69%) e perdita dell'udito correlata all’età (83%). Altre quattro malattie colpiscono persone di tutte le età: Hiv/Aids (128%), malattie muscoloscheletriche (129%), lombalgia (47%) e disturbi depressivi (61%).
Le malattie croniche nel mondo
Ecco la classifica dei 10 fattori di rischio per malattie croniche associati al maggior numero di morti nel mondo nel 2019 per entrambi i sessi. Al primo posto c’è l’ipertensione con 10,8 milioni di morti, poi il fumo con 8,71 milioni di morti, poi la cattiva alimentazione (7,49 milioni di morti). L’inquinamento atmosferico è al quarto posto seguito da iperglicemia, sovrappeso, ipercolesterolemia, disfunzioni renali, malnutrizione materna e neonatale, abuso di alcol.
Tra tutti i fattori di rischio che abbiamo elencato solamente il fumo è notevolmente diminuito con una riduzione del 10 per cento dei fumatori in tutto il mondo dal 2010 a oggi.
Negli ultimi dieci anni, i Paesi a basso e medio reddito hanno ottenuto notevoli progressi nella salute della popolazione riducendo soprattutto l’impatto delle malattie infettive, materne e neonatali. Ma hanno anche registrato un aumento delle malattie croniche. Nel 2019 ci sono stati meno morti per malattie infettive rispetto al 1990 ma più decessi per malattie croniche. In Uzbekistan, per esempio, in 30 anni il diabete è passato dalla 21esima alla quinta causa di morte (un aumento del 600% del numero di decessi). Allo stesso modo, nelle Filippine, la cardiopatia ischemica è passata dalla quinta alla principale causa di morte (un aumento di oltre il 350%).
Al contrario, nella maggior parte dei Paesi a reddito più elevato non sono stati registrati progressi considerevoli nella salute della popolazione. Anzi in alcuni casi la situazione è peggiorata, come negli Stati Uniti dove i fattori di rischio come l’alimentazione scorretta e il fumo continuano a scatenare epidemie di malattie croniche.
Lo scenario in Europa
In tutta Europa, l'aspettativa di vita in buona salute è aumentata costantemente negli ultimi 30 anni, ma non tanto quanto l'aspettativa di vita alla nascita. Significa cioè che in Europa si vive più a lungo in cattive condizioni di salute. Le differenze tra i Paesi sono eclatanti. Nel 2019, la Russia ha registrato il numero più basso di aspettativa di vita in buona salute, con 63,7 anni, e l'Islanda quello più alto, con 71,9 anni.
Le malattie non trasmissibili sono attualmente responsabili di oltre l’80 per cento di tutte le morti premature e delle cattive condizioni di salute (Daly) in tutta Europa. Nel 2019 il maggior impatto misurato in Daly lo hanno avuto il diabete, l’Alzheimer e altre demenze.
I cinque principali fattori di rischio di morte nell'Europa occidentale nel 2019 sono stati l'ipertensione (che ha contribuito a circa 787.000 decessi), il fumo (697.000 decessi), la cattiva alimentazione (546.000 decessi), glicemia alta (540.000 decessi) e l’indice di massa corporea elevato (406.000 morti).
«La maggior parte di questi fattori di rischio sono prevenibili e curabili e affrontarli porterà enormi benefici sociali ed economici. Stiamo fallendo nel tentativo di modificare i comportamenti malsani, in particolare quelli relativi alla qualità della dieta, all'apporto calorico e all'attività fisica, in parte a causa di una scarsa attenzione politica e di finanziamenti inadeguati per la salute pubblica», afferma Christopher Murray, direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation presso l'Università di Washington, USA, che ha guidato la ricerca.