La pandemia da SARS-CoV-2 rischia di far aumentare i casi di cancro al colon-retto

L'allarme della Sige

La pandemia da SARS-CoV-2 rischia di far aumentare i casi di cancro al colon-retto

di redazione

L’epidemia da coronavirus rischia di rallentare gli importanti risultati sinora ottenuti nella lotta contro il cancro del colon-retto. A lanciare l’allarme è la Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige) in occasione della pubblicazione di uno studio recentemente condotto dall’Università di Bologna.

Secondo i dati Aiom-Airtum, nel 2018 in Italia sono stati diagnosticati circa 28.800 nuovi casi di colon retto negli uomini e 22.500 nelle donne. Il numero delle persone colpite è costantemente diminuito nel tempo grazie all'attività dei Centri screening regionali e dai Centri di endoscopia digestiva.

«La ricerca in ambito endoscopico, con la finalità di prevenire e trattare il cancro del colon retto in modo più preciso ed efficace, ha portato allo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale» ricorda Alessandro Repici, professore di Gastroenterologia, responsabile di Endoscopia digestiva dell’Irccs Humanitas e membro del Consiglio direttivo della Sige. «Queste nuove tecniche – prosegue - oltre a consentire una maggiore precisione e una conseguente riduzione del carico di lavoro, permettono di differenziare le lesioni tumorali in base alle caratteristiche macroscopiche o vascolari e, in generale, una loro migliore rilevazione».

Lo screening del cancro colorettale è perciò fondamentale, ma purtroppo la pandemia da Sars-Cov-2 ha determinato un arresto dei programmi di screening, sia in Italia sia all’estero. «Un recente studio che abbiamo pubblicato - ricorda Luigi Ricciardiello, professore di Gastroenterologia all’Università di Bologna e consigliere Sige - ha dimostrato che ritardi nell’erogazione dello screening superiori ai sei mesi porterebbero a un aumento dei casi in stadio avanzato e che, per ritardi superiori ai dodici mesi, la mortalità a cinque anni aumenterebbe del 12%».

È quindi fondamentale sensibilizzare la popolazione a sottoporsi all’esame del sangue occulto fecale poiché lo screening salva la vita. «L’attività di screening - conclude Maurizio Vecchi, professore di Gastroenterologia all’Università di Milano e componente del Consiglio direttivo Sige - deve rimanere prioritaria sulla popolazione in virtù dell’alta incidenza della malattia sul nostro territorio, eventualmente anche attraverso percorsi alternativi che ne facilitino l’erogazione».