Più ombre che luci nella “fotografia” delle donne con tumore ovarico

L'indagine

Più ombre che luci nella “fotografia” delle donne con tumore ovarico

di redazione

Occupa il decimo posto tra le neoplasie femminili, in Italia interessa 50 mila donne ed è ancora uno dei cosiddetti “big killer”: nel 2020 le nuove diagnosi di tumore dell'ovaio sono state 5.200 e oltre 3 mila i decessi, per una sopravvivenza che non supera il 40% a cinque anni e il 31% a dieci anni.

La letalità di questa neoplasia è legata sia alla mancanza di strumenti di prevenzione e di diagnosi precoce sia alla mancanza di sintomi (causa di diagnosi tardive nel 70% dei casi) sia infine al fatto che purtroppo solo molto recentemente sono arrivati i primi farmaci capaci, se non di guarire, quantomeno di migliorare la sopravvivenza. Proprio per questo, aderire alle sperimentazioni cliniche rappresenta per le donne colpite da tumore ovarico l’unica possibilità di partecipare al miglioramento dei trattamenti.

Ma cosa sanno le donne degli studi clinici? Quante di loro partecipano a questi studi e perché? Che fiducia hanno nelle ricerche e nel loro medico?

A queste domande risponde per la prima volta “Ricerca inActo”, un'indagine promossa dall'Alleanza contro il tumore ovarico per fotografare conoscenze, attitudini ed esperienze rispetto agli gli studi clinici in donne con diagnosi di questa malattia.

La ricerca, condotta dall’Istituto Mario Negri di Milano e presentata il 21 aprile in un evento web, ha coinvolto 359 pazienti per il 73,5% di età superiore ai 56 anni, aderenti alle reti di ricerca clinica Mito e Mango. Iniziata nel 2019 e conclusa nel settembre 2020, è il primo studio indipendente su questo argomento.

I risultati. Tra le donne intervistate, la conoscenza degli studi clinici è ancora limitata: il 59% ne ha sentito parlare attraverso i mezzi di comunicazione (internet, giornali, tv) o dal medico.

Il 91,5%è disponibile a partecipare a una sperimentazione, ma più della metà (54%) non è in grado di valutare l’entità dei benefici e neppure se siano superiori ai rischi connessi alla partecipazione.

Il 56% è favorevole a partecipare a uno studio o a raccomandare la partecipazione di un amico o familiare (55,4%). Nella decisione di partecipare pesa il ruolo del medico: il 90,3% delle pazienti gli attribuisce un ruolo determinante nella decisione e il 91,5% ritiene giusto che i medici invitino a partecipare a uno studio anche senza la certezza che possa dare risultati migliori rispetto al trattamento già disponibile.

Poco meno della metà delle pazienti pensa che le ragioni che spingono il medico a proporre l’adesione a uno studio clinico siano il bene della paziente e della comunità (47,2%) ma anche il progresso della scienza e della medicina (42,9%). Solo una piccola percentuale ritiene che l’invito del medico a partecipare a uno studio clinico sia perché non saprebbe come curare altrimenti la paziente (5,6%) o per tornaconto personale (2,4%) o per interesse delle industrie farmaceutiche (1,8%).

Il 30,2% ritiene importante essere informata su vantaggi e svantaggi di partecipare a uno studio, sul gruppo di medici cui fare riferimento (23,8%), su cosa succederà in termini di visite e costi extra (19,4%). Il 34,9% pone attenzione agli scopi per cui vengono raccolti i dati e dove, da chi e per quanto tempo (21,2%).

Infine, il 71,2% attribuisce importanza al coinvolgimento delle associazioni che rappresentano pazienti e cittadini nell’ideazione e nella progettazione di uno studio clinico. Alle associazioni è attribuito soprattutto un ruolo determinante nel migliorare l’informazione (20,9%), nel facilitare la partecipazione delle pazienti (20,3%) e nel dare suggerimenti per condurre studi clinici di reale vantaggio per i pazienti (19,8%).

«Dalla ricerca emergono più ombre che luci» commenta Nicoletta Cerana, presidente di Acto onlus. «Se da un lato le pazienti hanno una sostanziale fiducia nella ricerca clinica e nel ruolo del medico – precisa - dall’altro lato la conoscenza degli studi clinici è limitata: non si sa come si svolgono, non se ne conoscono bene i rischi e i benefici e la partecipazione è scarsissima». «Un’altra ombra – prosegue - è legata alla tendenza delle pazienti a delegare totalmente al medico la decisione di aderire o meno ad uno studio clinico. Le risposte fornite sono indicative di un livello ancora molto basso non solo di informazione ma soprattutto di autonomia decisionale e di responsabilizzazione ed emancipazione delle pazienti dal medico».