Il Piano nazionale cronicità compie cinque anni. Ma per Salutequità la sua attuazione si muove con «lentezza cronica e a macchia di leopardo»
Il Piano nazionale della cronicità (Pnc) compie cinque anni. L'accordo venne firmato da Stato e Regioni il 15 settembre del 2016, ma è «ancora troppo disatteso». Pertanto «il livello di attenzione al tema deve necessariamente e velocemente aumentare, soprattutto ora alla luce degli investimenti sull’assistenza sanitaria territoriale previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e delle cure mancate dovute all’emergenza Covid».
A chiederlo è Salutequità, Associazione che analizza l’andamento e l’attuazione delle politiche sanitarie e sociali.
L'Associazione osserva che ci sono voluti anche tre o quattro anni per vedere recepito il Piano da alcune Regioni con una Delibera. Guardando invece a cosa è accaduto ad esempio rispetto alla stratificazione e targeting della popolazione, uno dei pilastri della strategia del Piano, da una ricognizione effettuata da Salutequità, le Regioni che hanno comunicato provvedimenti o progetti su questo fronte a oggi sembrerebbero essere Lombardia, Lazio, Liguria, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna, Toscana, Trentino Alto Adige, Sardegna. Sono al lavoro Piemonte e Basilicata.
«Ora su questa partita serve un cambio di passo – sostiene Tonino Aceti, presidente di Salutequità – per passare da formalismi e burocrazie a veri e propri fatti concreti, in grado di cambiare realmente e in positivo l’assistenza garantita alle persone con malattia cronica. E per farlo serve un finanziamento specifico sfruttando l’opportunità offerta dalla prossima legge di Bilancio» perchè attualmente il Piano non conta su alcun finanziamento. Inoltre, per Aceti, è necessario «procedere con un suo aggiornamento viste anche tutte le innovazioni introdotte durante la pandemia e con una relazione del Ministero sul suo stato di attuazione. Quest’ultimi due aspetti – conclude - erano già previsti nel Piano e in capo alla Cabina di regia».