Senza un cambio di passo chi abita nei Paesi poveri non potrà essere vaccinato prima del 2023
La fine del tunnel è ancora lontana per i Paesi a basso reddito. Se il rifornimento dei vaccini prosegue a questo, ritmo le dosi necessarie per una efficace vaccinazione di massa d non arriveranno prima del 2023. E nel frattempo si rischia la diffusione di nuove varianti
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Due settimane contro due anni. Ci vuole poco a raccontare le diseguaglianze nell’accesso ai vaccini tra Paesi ricchi e Paesi poveri: in fondo basta mettere a confronto i tempi di attesa per la vaccinazione. Per la maggior parte delle persone che vivono nei Paesi ad alto reddito si tratta di aspettare qualche settimana o uno o due mesi al massimo. Per tanti abitanti dei Paesi a basso reddito ci vorranno altri due anni prima di ricevere il vaccino anti Covid-19. Il drammatico scenario è descritto in un articolo su Nature on line: finora, oltre l’80 per cento delle dosi dei vaccini approvati nel mondo è stato destinato ai Paesi ricchi. In Africa solo poco più dell’1 per cento della popolazione (26 milioni di persone) è stato completamente vaccinato e lo stesso vale per gli altri Paesi a basso reddito del mondo.
Con gli attuali presupposti molte zone del mondo non riusciranno a effettuare una efficace campagna di vaccinazione di massa prima del 2023. La previsione si basa sui dati del Fondo monetario internazionale: sono necessarie circa 11 miliardi di dosi per vaccinare completamente il 70 per cento della popolazione mondiale, al 4 luglio erano state somministrate 3,2 miliardi di dosi, all’attuale tasso di vaccinazione, si arriverà a circa sei miliardi di dosi entro la fine dell’anno, ossia alla metà del traguardo finale.
E anche se le promesse annunciate dai leader del G7 durante l’ultimo meeting in Cornovaglia venissero mantenute, la situazione non cambierebbe sostanzialmente. Gli Stati Uniti dovrebbero donare 500 milioni di dosi del vaccino Pfizer-BioNTech oltre alle 87,5 milioni già precedentemente pattuite. Il Regno Unito ha promesso 100 milioni dosi, mentre Francia, Germania e Giappone si sono impegnati a donare circa 30 milioni ciascuno. La Cina ha contribuito con circa 30 milioni di dosi di vaccino ad almeno 59 Paesi, secondo una recente indagine del Duke Global Health Innovation Center di Durham negli Usa. Ma c’è chi dubita che queste donazioni finiranno per dare una accelerata significativa alle campagne vaccinali dei Paesi più poveri.
Tra questi c’è Andrea Taylor, esperta di politiche sanitarie e vice direttrice del Global Health Innovation Center. Lo scorso marzo il suo gruppo d ricerca aveva calcolato che ci sarebbero voluti ancora altri due anni prima di vaccinare il mondo intero. Oggi quella previsione , secondo lei, resta valida.
L’iniziativa COVAX arranca. Il suo obiettivo era quello di vaccinare un quinto della popolazione di ciascun Paese a basso e medio reddito fornendo due miliardi di dosi entro la fine di quest'anno. Ma il programma internazionale di solidarietà sostenuto dall’Oms nato per favorire l’accesso ai vaccini nei Paesi poveri fatica a rispettare i tempi della tabella di marcia. Lo scorso maggio Covax aveva acquistato 2,4 miliardi di dosi, più del doppio rispetto ai 1,1 miliardi di marzo, ma al 2 luglio solo 95 milioni di dosi sono state spedite rispetto ai 65 milioni di maggio, come denunciano gli esperti del Duke Global Health Innovation Center. Ostacoli burocratici e logistici stanno rallentando la distribuzione dei vaccini. Tra febbraio e maggio i Paesi africani hanno ricevuto solo 18,2 milioni delle 66 milioni di dosi che si aspettavano attraverso la rete COVAX. E intanto i casi di Covid-19 stanno aumentando rapidamente in tutta l’Africa. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il numero di infezioni è aumentato del 39 per cento dal 13 al 20 giugno. Almeno 20 paesi, tra cui Zambia, Uganda, Sudafrica e Repubblica Democratica del Congo, sono colpiti da una terza ondata che viaggia a un ritmo di gran lunga superiore rispetto alle prime due. Perché i vaccini non arrivano a destinazione? Gli ostacoli sono di diversa natura, ma ce ne è uno che ha indubbiamente avuto un peso notevole. Nel giugno del 2020 l’azienda farmaceutica AstraZeneca aveva firmato un accordo con il Serum Institute in India, uno dei più grandi produttori di vaccini al mondo, per produrre un miliardo di dosi del vaccino da destinare ai Paesi poveri. Un primo rifornimento di 400 milioni di dosi sarebbe dovuto arrivare a destinazione entro la fine del 2020. Il piano è saltato per colpa della imprevista e devastante seconda ondata di Covid che ha colpito l’India la scorsa primavera. Di fronte alla nuova minaccia il governo indiano ha imposto al Serum Institute di dirottare tutta la sua produzione verso il mercato interno. E così COVAX è ancora in attesa delle 90 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca che sarebbero dovute arrivare entro la fine dello scorso aprile.
L’Africa, rappresentata dall’Unione africana, sta correndo ai ripari cercando di ottenere vaccini anche al di fuori del programma COVAX. Con l’aiuto della Banca Mondiale, per esmepio, si è assicurata 400 milioni di dosi del vaccino di Johnson & Johnson. Anche i singoli paesi africani stanno cercando accordi con le aziende dei vaccini per rimediare all’interruzione dei rifornimenti dei vaccini prodotti dal Serum Institute.
È in corso una lotta contro il tempo per riuscire ad assicurare ai Paesi poveri gli stessi diritti alla salute dei Paesi più ricchi e allo stesso tempo per cercare di frenare la diffusione di nuove varianti che possono mettere in pericolo nuovamente tutto il mondo.