Cefalea in smart working: più pause per sgranchirsi le gambe e, se possibile, uscire di casa
La cefalea è un disturbo molto diffuso e spesso se ne sottovaluta l’importanza e la potenziale pericolosità. Nei lunghi mesi della pandemia, al lavoro in casa (che da noi, chissà perché, è diventatio “smart working”) e alle ore trascorse davanti allo schermo del computer è stata spesso attribuita la responsabilità di un aumento del fenomeno. «Certo, trasportando il terminale dall’ufficio a casa, spesso aumentano le ore di lavoro; ma non diminuiscono impegno e concentrazione» osserva Cherubino Di Lorenzo, responsabile del Centro Diagnosi e cura delle cefalee INI Grottaferrata. Tuttavia, «se fosse solo quello – prosegue Di Lorenzo - osserveremmo una maggiore incidenza di cefalea nei ragazzi, che passano anche più di dodici ore consecutive a giocare ai videogame, con una concentrazione e concitazione paradossalmente maggiori rispetto a chi sta lavorando. Ma non è così». Per l'esperto, «il reale problema è altrove. Lo smart working purtroppo, se da un lato ci risparmia ore di traffico, dall’altro ci impedisce di uscire. Il lavoro è socializzazione, rapporto con i colleghi, la possibilità di chiedere aiuto per risolvere un problema. L’essere da soli e decontestualizzati a casa può avere un impatto psicologico negativo che può causare ripercussioni importanti anche sul mal di testa. E poi, diciamolo francamente, uscire fuori di casa per lavorare significa letteralmente uscire fuori. La pandemia ha provocato un cambiamento drastico degli stili di vita che possono causare episodi di cefalea. Questo è il vero problema. In Italia ci sono milioni di persone che hanno passato e passano ore davanti a un terminale in ufficio, altrettante davanti al cellulare e una volta a casa iniziano lunghe maratone televisive. E non è detto che abbiano avuto o avranno episodi di cefalea. Il mio consiglio, per le persone che sono in smart working, è di fare delle pause. E per pausa non intendo cucinare, aprire Facebook o rispondere a email personali. Significa staccare la spina. Alzarsi in piedi, sgranchirsi le gambe e, se possibile, uscire di casa. Bastano poche centinaia di metri per distendere la muscolatura e la mente».
Quanto alla correlazione tra videogiochi e mal di testa, «sarei per un “ni”» dice Di Lorenzo perché «sicuramente stare ore davanti a un videogioco è un problema che in generale non deve essere sottovalutato, ma non è detto che dia mal di testa. La cefalea da videogioco è spesso dovuta al fatto che il ragazzo non beve per non andare in bagno e quindi si disidrata. Bisogna anche considerare la frustrazione che prova quando perde. Non è lo schermo il problema. Un tempo si diceva che stare troppo sui libri faceva venire il mal di testa. Ora non lo dice più nessuno. Era una falsa notizia. I veri fattori di rischio vanno cercati negli stili di vita». Diverso, ovviamente, è il problema della dipendenza: «Una patologia seria che deve essere affrontata da specialisti e famiglia».
A tutti Di Lorenzo consiglia di bere. «La disidratazione – spiega - è una concausa importante di violenti attacchi di emicrania. E con l’aumento delle temperature aumenta la tendenza a disidratarsi. Quindi bere spesso acqua, al limite una tisana fatta in casa, anche fredda, ed evitare bevande gassate piene di zuccheri. Altro consiglio importante è l’igiene di vita. L’emicranico deve essere metodico. Le giornate si allungano, si va a letto tardi, si cena tardi, si dorme di meno. Tutto questo ha ripercussioni negative sui soggetti emicranici».
Insomma, la pandemia ha esacerbato e peggiorato una patologia già molto diffusa, ma la cefalea, conclude Di Lorenzo, è «un disturbo gestibile e comune», anche se spesso sottovalutato. L'assunzione di analgesici aiuta a togliere il dolore, ma se il problema è ricorrente è meglio farsi visitare da uno specialista. Una diagnosi precoce evita la cronicizzazione e l’abuso di farmaci».