Un’Associazione per le persone con enterospondiloartrite
La stima è che in Italia ci siano circa 50 mila persone che ne sono colpite, con una diagnosi che non di rado arriva in ritardo di anni: sono i pazienti con le enterospondiloartriti (Esa). I quali possono ora contare sul sostegno di una nuova Associazione, l'Anpesa (Associazione nazionale pazienti con enterospondiloartriti), nata sulla spinta della Società italiana di gastroreumatologia (Sigr) e del suo presidente, Vincenzo Bruzzese, ideatore e promotore dell’iniziativa.
A soffrire di questa partologia sono soprattutto le persone con Ibd (Inflammatory bowel disease) ovvero malattie infiammatorie croniche intestinali come il Morbo di Crohn che, lungo il decorso della malattia, iniziano ad accusare dolori articolari periferici o a livello della colonna vertebrale e del bacino. A loro volta, nei pazienti reumatici è frequente trovare, oltre all’artrite, anche sintomi tipici dell’infiammazione intestinale. Spesso sono sintomi presenti da molti anni, tanto da essere sottovalutati: gonfiore addominale, diarrea, aumento progressivo del peso, stanchezza; e possono configurare una malattia infiammatoria cronico intestinale, ma con diffusione contenuta, in questo caso intorno all’8%.
Simili condizioni, spesso invalidanti per chi ne soffre, non sono sempre di facile diagnosi e terapia, per cui la diagnosi viene ritardata di molti mesi o perfino anni. E di conseguenza anche la terapia.
In Italia si contano circa 250 mila pazienti con Ibd, con picco intorno ai 25 e poi 70 anni e larga prevalenza femminile. In media, almeno il 20% di questi sviluppano enterospondiloartriti. Sia le Ibd sia le Esa «sono di difficile inquadramento clinico - sottolinea Roberta Pica, presidente eletto Sigr - se non si ha una visione globale dei differenti sintomi che ne indicano la presenza: uveite, mal di schiena, dolori articolari, problemi ematologici, lesioni istologiche. Questo significa che lo stesso paziente rischia di contribuire al ritardo di diagnosi, approcciando i singoli sintomi in modo separato, senza immaginare di configurarli in una patologia più complessa».
Il motivo per cui nasce Anpesa «sta proprio nella volontà di rimettere il paziente, con Esa o a rischio di Esa, al centro del complesso processo diagnostico-terapeutico e di assistenza anche psicologica e legale- spiega la presidente dell’Associazione, la psicologa Roberta Cimaglia - per sottrarlo a scomode e dannose situazioni sanitarie non integrate e spesso non comunicanti fra loro».
«Saremo il punto di riferimento, nel senso di “tenere insieme” e rassicurare, assistere e motivare l’intera comunità dei pazienti - assicura lo psicologo e sociologo Walter Monterosso, tra i fondatori dell’Associazione. «Ci faremo portavoce della totalità dei bisogni anche relazionali o di carattere legale dei pazienti, naturalmente disorientati dal ricevere comunicazione di cronicità patologica. Sappiamo bene che depressione ed ansia giocano un ruolo fondamentale nella risposta terapeutica alle malattie immunomediate».
La finalità principale dell'associazione «è quella di favorire una cultura condivisa tra i pazienti, una consapevolezza della loro malattia e una condivisione dei problemi sia clinici che sociali» ribadisce Bruzzese, a cui si aggiungono l’informazione su queste patologie e lo stimolo alle autorità politiche e sanitarie «affinchè si possano creare rapidamente e stabilmente percorsi, ambulatori condivisi per la diagnosi e la terapia precoce».