Beta-talassemia: in Italia vivono 7 mila pazienti, il 50% nelle isole. Malattia più curabile ma ancora sottovalutata

L’incontro

Beta-talassemia: in Italia vivono 7 mila pazienti, il 50% nelle isole. Malattia più curabile ma ancora sottovalutata

di redazione

Le persone con betatalassemia in Italia sono oltre 7 mila. Più della metà vive nelle nostre due isole maggiori: 2.700 in Sicilia e 1.100 in Sardegna. 

La prevenzione evita ogni anno la diagnosi di più di 400 nuovi casi di malattia nel nostro Paese. Questi e altri sono stati i temi affrontati nel corso di una conferenza stampa on line organizzata dalla Fondazione Franco e Piera Cutino che ha annunciato una serie di iniziative di sensibilizzazione sulla malattia anche nota come “anemia mediterranea”.  Il primo appuntamento è per il prossimo 8 maggio a Palermo, in concomitanza con la Giornata Mondiale della Talassemia, per la conferenza Internazionale alla quale parteciperanno rappresentanti delle Istituzioni, clinici e pazienti. Si terranno poi, nelle prossime settimane, cinque talk show on line per pazienti e caregiver dedicati ad altrettanti aspetti della patologia. Agli incontri parteciperanno un clinico e un paziente dei centri distribuiti in tutta la penisola. 

Gli esperti hanno ricordato che il nostro Paese è all’avanguardia nella lotta alla patologia genetica e rara del sangue. «Nell’ultimo quarto di secolo registrati continui progressi della ricerca e un costante miglioramento dell’aspettativa di vita», ha specificato Giuseppe Cutino, presidente della Fondazione. 

La beta-talassemia è causata da alcuni difetti nei geni che regolano la produzione dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto di ossigeno in tutto l’organismo. I portatori sani in Italia sono oltre 3 milioni e anche in questo caso le incidenze maggiori si riscontrano sempre nelle due isole e in Puglia. 

«Se non viene curata il malato va incontro ad una grave anemia dovuta alla mancata produzione della giusta quantità di emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi deputata al trasporto di ossigeno nei tessuti, con pericolose conseguenze. Il malato necessita di continue trasfusioni di sangue, di solito una ogni 20 giorni. Vanno poi assunte anche delle terapie farmacologiche in grado di evitare i danni causati dall’accumulo di ferro, portato in eccesso dalle trasfusioni, ad organi vitali come pancreas, fegato e soprattutto al cuore», spiega  Gian Luca Forni, direttore del Reparto di Microcitemia dell’Ospedale Galliera di Genova.