Con Covid-19 è scoppiata l’infodemia. Ecco gli errori della comunicazione che rischiano di ripetersi
“Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. È la definizione di “infodemia” proposta dalla Treccani. Il termine descrive un fenomeno esploso durante la pandemia che però rischia di condizionare la comunicazione delle emergenze future. Il tema è talmente attuale che non stupisce l’uscita in contemporanea di due ricerche, svolte da differenti prospettive, sugli errori della comunicazione e culle conseguenze che possono avere nella gestione del rischio, di qualunque tipo si tratti.
Uno studio elaborato dalla Fondazione The Bridge, presentato nel corso del workshop “Comunicazione delle emergenze sanitarie: quali elementi chiave?” organizzato nell’ambito del WCPH, il World Congress on Public Health, e il libro “La comunicazione nelle emergenze sanitarie. Gestione dell'infodemia e contrasto alla disinformazione come strumenti di sanità pubblica”.
La ricerca di The Bridge ha messo in evidenza le contraddizioni dei messaggi che arrivavano ai cittadini dalle istituzioni e dai media sull’andamento della pandemia soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria.
«In Italia, nella prima fase della pandemia il Governo ha affrontato l’aumento dei contagi con una comunicazione ai cittadini poco precisa rispetto a quanto stava accadendo. L’incertezza non va negata, perché rischia di disorientare e generare sfiducia», ha dichiarato Rosaria Iardino, Presidente della Fondazione The Bridge.
Troppe informazioni, troppe voci a parlare, troppi messaggi poco curati.
È questa la posizione di Giovanni Rezza, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute: «Durante la prima fase della pandemia c’era un uso frequente delle conferenze stampa da parte delle Istituzioni per informare i cittadini e venivano diffuse notizie sulle misure adottate, su morti e contagi, con bollettini quotidiani molto seguiti, che a lungo andare potrebbero aver generato un certo stato di ansia nelle persone. Poi la comunicazione istituzionale si è giustamente spostata sulle campagne di vaccinazione. Una certa confusione è stata poi alimentata dal continuo ricorso ai talk show, anche dalle dichiarazioni di esperti e pseudo-esperti, definiti genericamente come “virologi”, che si sono trasformati in popolari star televisive. Tutto ciò ha contribuito a creare una comunicazione non univoca e talvolta contraddittoria, che ha spesso soverchiato i messaggi veicolati dalle istituzioni. Criticità nei messaggi veicolati ci sono state, inoltre, nelle narrazioni semplicistiche utilizzate per difendere obblighi vaccinali e Green Pass, specialmente in epoca Omicron, non mettendo invece in risalto il loro significato di sanità pubblica in termini di rapporto rischi-benefici».
L’altro punto debole della comunicazione in piena pandemia è stato il mancato coordinamento centrale. «Nel nostro Paese l'improvviso scoppio della crisi ha portato all’inizio al coinvolgimento di tecnici già noti o presenti nei ministeri, spesso senza le competenze specifiche in tema di comunicazione in una situazione di crisi. I primi dati forniti da questi gruppi di esperti hanno alimentato decisioni sbagliate e indicazioni confuse e contraddittorie per la popolazione. Molti Paesi hanno coinvolto comitati tecnici a sostegno delle scelte, ma questo ha portato a messaggi spesso confusivi, che hanno ostacolato gli sforzi per il contrasto della pandemia», commenta Chiara Crepaldi, ricercatrice senior del Centro Studi della Fondazione The Bridge, che ha analizzato i modelli comunicativi utilizzati in vari Paesi europei ed extraeuropei.
La ricerca di The Bridge ha poi focalizzato l’attenzione su altri due elementi: i canali di comunicazione (media istituzionali, outlet e social), evidenziando la bassa percentuale di utenza italiana (19%) su quelli istituzionali rispetto agli altri Paesi europei; l’inquinamento comunicativo, con il fenomeno dell’infodemia, che ha diffuso disinformazione e fake news, alimentando nelle persone un crescente disagio psichico e psichiatrico.
All’eccesso di informazioni e ai rischi della disinformazione è dedicato il libro “La comunicazione nelle emergenze sanitarie. Gestione dell'infodemia e contrasto alla disinformazione come strumenti di sanita' pubblica”, di Cesare Buquicchio, Cristiana Pulcinelli, Se a livello sanitario Covid-19 si trasforma in una endemia, non si può dire lo stesso riguardo all'informazione sulla salute che resta troppo spesso vittima di distorsioni e manipolazioni. «In questi anni abbiamo dovuto affrontare un vero e proprio tsunami informativo, ovvero una sovrabbondanza di informazioni, alcune accurate e molte altre distorte, che hanno reso, e rendono tuttora difficile per le persone trovare fonti e riferimenti affidabili in caso di bisogno. In alcuni casi l'infodemia porta a effetti negativi diretti, come un incremento della mortalita': si pensi che nel mondo ad inizio pandemia 800 persone sono morte e quasi 6000 sono finite in ospedale per avvelenamento da metanolo che era stato presentato come una cura per il Covid. Ma in generale crea un clima di confusione e sfiducia che è pericolosa come la crisi sanitaria stessa», commenta Cesare Buquicchio, tra gli autori del volume.