Dall'Italia un progetto umanitario per curare le cicatrici di guerra in Ucraina

Mission to Kiev

Dall'Italia un progetto umanitario per curare le cicatrici di guerra in Ucraina

di redazione

Offrire cure a chi porta ogni giorno i segni della guerra sulla propria pelle: è questo l'obiettivo del progetto Mission to Kiev, presentato il 21 febbraio a Roma da RigeneraDerma.

Il rapporto delle Nazioni unite del 5 ottobre 2023 parlava già di oltre 10 mila morti tra i civili e diverse decine di migliaia di feriti nel conflitto. Le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che intorno alle zone con esplosioni l'aria diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti dalle onde d'urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, cioè le parti generalmente non coperte dall’abbigliamento.

Nato per curare le donne vittime di violenza, il progetto RigeneraDerma viene ora rivolto gratuitamente anche a militari e civili feriti nella guerra d'Ucraina: la metodologia Biodermogenesi sarà messa a disposizione dei medici ucraini aderenti all’iniziativa che erogheranno le terapie ai pazienti dopo specifica formazione. Ideato da Maurizio Busoni, professore al Master di Medicina estetica delle Università di Barcellona e Camerino, il progetto Mission to Kiev ha per referente in Ucraina Anna Shemetillo, Medical Director Academy of Advanced Aesthetics UA della capitale ucraina.

«Le cicatrici di guerra sono la conseguenza di traumi da arma da fuoco – spiega Francesco D’Andrea, direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica ed estetica del Policlinico Federico II di Napoli e past president della Sicpre, Società di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica - e hanno caratteristiche peculiari. Si tratta infatti di ferite spesso estese, di tipo lacerocontuso, infette e con perdita di tessuto. La guarigione di tale ferite è verso cicatrici di tipo patologico, ispessite, spesso dolenti e retraenti con associati disturbi funzionali se localizzate in zone flesso estensorie, quali arti e collo. La terapia non è di facile realizzazione».

Le ferite di guerra «rappresentano da sempre una sfida per la medicina» che però «non è stata ancora vinta» dice Andrea Sbarbati, professore di Anatomia umana, direttore della sezione di Anatomia umana e istologia dell'Università di Verona. Nella cicatrice «abbiamo un esempio di quello che avviene in ogni parte del corpo durante l'invecchiamento – prosegue - ma in modo acuto. Si generano, infatti, fenomeni di atrofia, di ipertrofia, che portano a un tessuto fibrotico con problemi vascolari, come succede nei tessuti invecchiati. È come se il tessuto invecchiasse nel giro di pochi giorni o mesi. Oggi però abbiamo a metodiche in grado di ringiovanire il tessuto».

Per capire come trattare le ferite di guerra «è fondamentale capire come si determinano» spiega Sheila Veronese, esperta di Medicina rigenerativa, che si occupa di dispositivi bio-medicali al Dipartimento di Scienze neurologiche, biomediche e del movimento dell’Università di Verona. In quelle causate da arma da fuoco o esplosivo la ferita generata dalla scottatura termica è associata a una bruciatura chimica. L'effetto termico si esaurisce con il raffreddamento dei tessuti. Gli agenti chimici, invece, continuano a erodere anche in profondità i tessuti fino a che l'ultima molecola di agente non viene lavata via dal corpo. «Curare questo genere di danni – precisa Veronese - significa ristrutturare tutti i tessuti coinvolti, talvolta rigenerandoli. Perché tanto più profonda è la ferita, tanto più estesa la cicatrice, e tanto più grave il danno funzionale, e, conseguentemente, il danno sociale».

«Siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze» racconta Busoni, sviluppando una scala di valutazione chiamata POWASAS, Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale. La scala verrà adottata per tutta la durata di Mission to Kiev e permetterà inizialmente di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti raggiunti. Saranno quindi raccolti i dati di tutti i pazienti curati per pubblicare gli studi clinici «destinati a ridurre il vuoto informativo nell'ambito della cura delle cicatrici di guerra».