Nobel per la Medicina: premiati Katalin Karikó e Drew Weissman che hanno aperto la strada ai vaccini a mRna contro Covid

Il premio 

Nobel per la Medicina: premiati Katalin Karikó e Drew Weissman che hanno aperto la strada ai vaccini a mRna contro Covid

Katalin Karikó e Drew Weissman 15 anni prima della pandemia gettavano le basi per lo sviluppo dei vaccini a mRna contro Covid. A loro si devono due scoperte chiave: come ridurre la risposta infiammatoria e come aumentare la produzione di proteine dell’mRna in vitro

kariko_weissman-3_2.jpg

Immagine: nobelprize.org
di redazione

Nella foto che sta girando sui siti di molte testate giornalistiche Katalin Karikó e Drew Weissman, i vincitori del nobel per la medicina 2023, mostrano un premio e indossano la mascherina. Quella foto risale all’aprile del 2022 e ritrae i due scienziati appena insigniti del Japan Prize, una sorta di Nobel giapponese, per “la ricerca pionieristica che ha contribuito allo sviluppo di vaccini a mRNA permettendo la realizzazione dei vaccini contro Covid-19 in poco tempo”. A distanza di un anno e mezzo da quello scatto, la motivazione con cui  Karikó e Weissman vengono premiati con il Nobel per la medicina è la stessa:  «Le scoperte dei due premi Nobel sono state fondamentali per lo sviluppo di vaccini a mRNA efficaci contro il Covid-19 durante la pandemia iniziata all’inizio del 2020. Attraverso le loro scoperte rivoluzionarie, che hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l’mRNA interagisce con il nostro sistema immunitario, i vincitori reso possibile lo sviluppo di vaccini a un ritmo senza precedenti nel corso di una delle più grandi minacce per la salute umana dei tempi moderni», si legge nel comunicato del Karolinska Institutet. 

Non sappiamo se i due ricercatori premiati per aver contribuito a frenare l’avanzata della pandemia indosseranno o meno la mascherina durante la cerimonia del prossimo 10 dicembre a Stoccolma. Quel che è certo è che, grazie alle loro ricerche, Covid-19 oggi fa molta meno paura rispetto a quando era comparso dal nulla e non c’era nessun vaccino in grado di poterlo contrastare.

L’aggiustamento che ha fatto la differenza

La strada per la produzione dei vaccini a mRna contro Covid ha un punto di partenza ben preciso nei primi anni Duemila. Tutto nasce dal provvidenziale “trucco”, individuato dai due scienziati, che si rivelò risolutivo. Grazie a quel trucco infatti l’mRna sintetico, realizzato in laboratorio, riusciva a eludere le difese immunitarie dell’organismo in modo tale da poter essere trasportato dalle cellule e impartire le istruzioni per bloccare il virus senza generare risposte infiammatorie. I ricercatori hanno scoperto, in estrema sintesi, che per  “nascondere” l’mRna alle difese immunitarie bisognava modificare leggermente uno dei quattro nucleosidi, i quattro mattoncini che compongono l’mRna, e in particolare quelle che si “faceva riconoscere” mandando in fumo il tentativo di inserire l’mRna in maniera silenziosa. 

Si è trattato di un passaggio chiave che ha rivoluzionato in un batter d’occhio la tecnologia alla base dei vaccini. 

I vaccini prima della pandemia

L’evoluzione dei vaccini ha subito una brusca accelerazione con Covid-19. Per un lungo periodo di tempo la vaccinazione avveniva con l’introduzione di virus uccisi o attenuati (polio, morbillo, febbre gialla). In seguito, ci si è accorti che per indurre il sistema immunitario a reagire contro un agente patogeno potevano bastare parti del virus invece dell’intero microrganismo. Si poteva in particolare ricorrere a quella parte specifica del codice genetico del virus che codifica le proteine ospitate sulla superficie del virus per produrre proteine che stimolano la formazione di anticorpi bloccanti. 

Sono fatti così i vaccini contro l’epatite B e contro il papillomavirus. 

Un’altra strada è quella di inserire parti del codice genetico del virus in un “vettore”, generalmente un virus innocuo, che trasporti il contenuto  che deve andare a stimolare il sistema immunitario in giro per l’organismo. 

I vaccini contro Ebola utilizzano questa strategia. 

Tutte e tre le tipologie di vaccini, a base di virus, di proteine o di vettori richiedono processi di produzione lunghi perché si servono di colture cellulari su larga scala. Ma una pandemia richiede soluzioni rapide. Bisognava quindi poter fare a meno delle colture cellulare per accelerare i tempi. Si perseguiva questo obiettivo sin dagli anni Ottanta.

Immagine: nobelprize.org

Vaccini a mRna: perché sono una svolta?

L’Rna messaggero (mRna) riceve le informazioni genetiche codificate nel Dna che vengono usate come un modello, una sorta di manuale di istruzioni per la produzione delle proteine. 

Durante gli anni Ottanta sono stati messi a punto alcuni metodi efficaci per produrre l’mRna senza dover contare sulle colture cellulari. Tra i tanti campi di applicazione di queste nuove tecniche, si è pensato anche ai vaccini. Vari tentativi però fallirono uno dopo l’altro per le stesse ragioni. L’mRna sintetico, in vitro,  aveva principalmente due difetti: era instabile e quindi difficile da inserire nelle cellule da spedire in giro nell’organismo e inoltre provocava reazioni infiammatorie incompatibili con una vaccinazione. 

È a questo punto della storia che entrano in gioco Katalin Karikó e Drew Weissman. 

All’inizio degli anni Novanta Karikò, ungherese classe 1955, assistente professore all’University of Pennsylvania, convinta delle potenzialità terapeutiche dell’mRna, cercava di raccogliere finanziamenti per le sue ricerche. Senza però grande successo. L’idea sembrava buona ma poco realizzabile. Il suo progetto diventò più concreto grazie all’incontro con il collega della stessa università Drew Weissman, immunologo esperto di cellule dendritiche. Queste cellule hanno un ruolo chiave nella sorveglianza immunitaria e nell’attivazione della risposta immunitaria indotta dal vaccino. I due ricercatori hanno cominciato a occuparsi insieme di come l’mRna interagisse con il sistema immunitario. 

La scoperta

Il punto debole dei primi abbozzati vaccini a mRna è venuto subito a galla: le cellule dendritiche riconoscono l’mRna trascritto in vitro come una sostanza estranea e quindi si attivano per rilasciare molecole infiammatorie. Non è un problema da poco visto che l’eventuale vaccino a mRna dovrebbe passare inosservato per poter indurre una risposta efficace contro il virus. 

I due ricercatori si sono chiesti come mai l’mRna sintetico risultasse un estraneo alle cellule dendritiche, quando l’mRna naturale nelle cellule dei mammiferi non induce la stessa reazione. È così scattata la “caccia alle differenze” tra mRna sintetico ed mRna naturale. Dopo diversi esperimenti, i ricercatori hanno individuato un potenziale  punto debole dell’mRna sintetico. Le quattro basi dell’Rna di laboratorio  (i mattoncini che lo compongono A, U, G,C), a differenza delle basi dell’Rna delle cellule, non vengono modificate chimicamente. Poteva darsi che questa mancata alterazione fosse la causa della reazione infiammatoria. indesiderata. Dopo aver prodotto diverse varianti di mRNA e averle sottoposte al vaglio delle cellule dendritiche per scoprire la loro reazione, i ricercatori hanno notato che la risposta infiammatoria era stata quasi abolita con le opportune modifiche all’mRna. 

Karikó e Weissman avevano così inaugurato ufficialmente l’era dei vaccini a mRna. I loro rivoluzionari risultati vennero pubblicati nel 2005, quindici anni prima della pandemia di COVID-19.

Inoltre in  due studi successivi, nel 2008 e nel 2010, Karikó e Weissman dimostrarono che il trasferimento dell’mRna generato con la modifica delle basi aumentava la produzione di proteine rispetto a quello non modificato. 

In sostanza, con la modifica delle basi si ottenevano due vantaggi: la riduzione della risposta infiammatoria e l’aumento della produzione delle proteine, entrambi punti di forza per nuovi vaccini a mRna.

Covid-19 e il boom dei vaccini a mRna

Prima ci sono stati i vaccini contro Zika e Mers, ma è con Covid che l’industria dei vaccini a mRna ha fatto il salto. Pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia due vaccini a base di mRNA modificati che codificano per la proteina di spike di SARS-CoV-2 erano già disponibili. A dicembre 2020  le prime dosi erano già disponibili. 

Ora si guarda a questa tecnologia come una possibilità per lo sviluppo di nuove terapie e di vaccini per alcuni tipi di cancro.