Non sono i medici in pensione a salvarci

La petizione

Non sono i medici in pensione a salvarci

di redazione

L'eventuale approvazione dell'emendamento che prevede di aumentare l’età pensionabile dei medici ospedalieri e universitari a 72 anni fino al 2026 non risolve le «rilevanti problematiche esistenti», ma rischia «fortemente di acuirne ulteriori».

Ne sono convinte le donne di Women for Oncology Italy e Women in Surgery che hanno promosso una petizione che chiede di non approvare la misura e che è stata sottoscritta da circa 1.500 medici.

«Comprendiamo che questa proposta persegua l’obiettivo di sopperire alla cronica mancanza di medici in Italia operanti nel servizio pubblico», scrivono le due organizzazioni, ma l'eventuale sua approvazione porterebbe, sostengono, a distorsioni quali, per esempio, il blocco ulteriore del turn-over fisiologico del personale medico, «già estremamente carente nel nostro Paese, procrastinando l’assunzione di nuovi giovani medici». O anche, altro esempio, impedirebbe per i prossimi anni progressioni di carriera nelle fasce di età sopra i quarant'anni, «esasperando ulteriormente il senso di frustrazione in atto e spingendo sempre più medici a cercare soluzioni e carriere alternative». Inoltre, penalizzerebbe ancora di più le donne medico «che non sono adeguatamente rappresentate in posizione apicale nelle generazioni al di sotto dei 70 anni».

La carenza di medici deriva, secondo le due Associazioni, «non solo dalla scarsa e insufficiente pianificazione del reale fabbisogno negli ultimi vent’anni» ma anche dal «continuo “dissanguamento” del servizio pubblico da parte degli stessi medici, «esasperati» da condizioni di lavoro pesanti, da stipendi inadeguati e non aggiornati, «neppure lontanamente paragonabili» a quelli dei colleghi di altri Paesi europei. A questo si aggiungono l’inizio dell’attività lavorativa in età non più giovane e la mancanza di progressione di carriera. «Per tutti questi motivi – sostengono - molti lasciano la professione, altri si trasferiscono all’estero, altri ancora abbandonano il ruolo pubblico per lavorare nel privato».

Women for Oncology Italy e Women in Surgery suggeriscono allora alcuni correttivi ritenuti «fondamentali». In sintesi: prevedere un’attività esclusiva nel Servizio sanitario nazionale, imponendo limiti all’esercizio della libera professione svolta nelle strutture sanitarie pubbliche o extramoenia; prevedere che i medici ultrasettantenni possano rimanere in servizio attivo lasciando eventuali ruoli di direzione di struttura semplice o complessa (fatte salve le retribuzioni maturate), così da non precludere progressioni di carriera ai medici più giovani; utilizzare la permanenza in ruolo anche per concorrere all’abbattimento progressivo delle liste di attesa nel servizio pubblico; per quanto riguarda i docenti universitari di Medicina, prevedere che rimangano in servizio solo quelli il cui Settore scientifico disciplinare rischi la chiusura delle Scuole di specializzazione per effettiva carenza di professori.