Anmar: «Garantire continuità terapeutica e fermare le migrazioni sanitarie» dei malati reumatici
Nonostante la reumatologia italiana sia una delle eccellenze del sistema sanitario nazionale, problemi organizzativi dell'assistenza rendono la vita di oltre 5 milioni e mezzo di pazienti reumatologici ancora più complicata di quanto già non sia.
In particolare si segnalano, in tutta la Penisola, frequenti episodi di mancata continuità terapeutica e migrazioni sanitarie interne per ricevere cure adeguate.
«La “grande paura” dello scorso anno, legata al contagio da Covid-19 è per fortuna terminata» dice Silvia Tonolo, presidente dell'Associazione nazionale malati reumatici (Anmar), in occasione del convegno organizzato insieme con l’Osservatorio Capire giovedì 7 ottobre a Roma, in vista della Giornata mondiale del paziente reumatico del 12 ottobre.
«Grazie ai vaccini e una situazione epidemiologica decisamente migliore – prosegue Tonolo - i pazienti hanno ricominciato a recarsi negli ospedali e negli ambulatori medici per ricevere cure ed esami. Ciò nonostante la pesante “eredità” del 2020, in termini di diagnosi tardive e trattamenti non somministrati, continuerà a pesare sull’intero sistema sanitario nazionale. E sta ulteriormente complicando la già difficile situazione pre-pandemia soprattutto per quanto riguarda la continuità terapeutica. Un numero crescente di malati è costretto ad assumere un farmaco diverso da quello inizialmente indicato per la cura di gravi malattie come l’artrite reumatoide o le spondiloartriti. Dalla pratica dello switch, il passaggio da un biologico originator al biosimilare, siamo arrivati sempre di più a quella del multiswitch. Nel nostro Libro Bianco, che abbiamo lanciato lo scorso anno, abbiamo già raccolto oltre 200 casi di passaggio da un primo a un secondo biosimilare. Tutte queste modifiche di tipologia di farmaco sono solo dettate da motivi economici e non clinici. È una situazione che da malati, ma anche cittadini, non possiamo più tollerare».
«Vogliamo ribadire con forza che l’eventuale sostituzione di un farmaco può essere svolta solo su decisione del medico prescrittore» ricorda Mauro Galeazzi, responsabile scientifico dell’Osservatorio Capire. «La variazione di una terapia che funziona, e che sta dando risultati positivi – aggiunge - può avere effetti molto pericolosi sulla salute del singolo paziente».
In molte Regioni o singole Asl l’autonomia decisionale del medico, sostiene dal canto suo Patrizia Comite, avvocato legale dell’Osservatorio Capire non è garantita e si aggiunge al problema delle disomogeneità intra-territoriali e regionali: «Spesso in alcuni territori mancano i farmaci di fascia H e ciò costringe malati e caregiver a “migrare” verso altre e più distanti strutture sanitarie. Tutto ciò è contrario ai più elementari principi costituzionali, e a nostro avviso, rende necessaria una partecipazione effettiva dei pazienti ai processi decisionali riguardanti il trattamento farmacologico per la cura di patologie».