Le criticità dei centri demenze, tra carenze di personale e aperture a singhiozzo

Indagine Iss

Le criticità dei centri demenze, tra carenze di personale e aperture a singhiozzo

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Immagine: geralt, CC0, via Wikimedia Commons
di redazione
Un quarto dei Cdcd è aperto solo un giorno a settimana e tra quelli aperti cinque giorni, la maggioranza (43,5%) è al Nord, il 27,5% al Centro e il 24,6% al Sud

Negli oltre 500 Centri per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd) italiani lavorano in media cinque professionisti. Un terzo circa di questi Centri è diretto dal neurologo, un altro terzo dal geriatra e in poco meno di un altro terzo operano almeno due delle tre figure mediche fondamentali (neurologo, geriatra, psichiatra), mentre nel 5% dei casi a coordinare è lo psichiatra. Scarseggiano, inoltre, altre tipologie di professionisti come infermieri, fisioterapisti, logopedisti, mediatori culturali.

È quanto emerge dalla survey sui Cdcd condotta dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto superiore di sanità tra luglio 2022 e febbraio 2023, i cui risultati (che fanno riferimento alle attività del 2019), sono stati presentati mercoledì 22 marzo.

L’indagine ha inoltre evidenziato che un quarto dei Cdcd è aperto un giorno a settimana e che tra quelli aperti cinque giorni, la maggioranza (43,5%) è al Nord, il 27,5% al Centro e il 24,6% al Sud.

«Questi dati fotografano le criticità dell’offerta sanitaria presente in Italia per i Cdcd sia per quanto riguarda il numero complessivo di professionisti che per la scarsità di altre tipologie di professionisti diverse dai medici», commenta Nicola Vanacore, direttore dell’Osservatorio Demenze dell’Iss . «In una logica di sanità pubblica è fondamentale poter disporre nei Cdcd, un nodo cruciale per la diagnosi e la presa in carico delle persone con demenza, di un maggior numero di professionisti e di personale con diversi profili al fine di poter valorizzare sempre più un lavoro di equipe interprofessionale e di renderlo disponibile e capillare in tutto il territorio nazionale. Si tratta di dati molto importanti – sottolinea Vanacore - poiché parliamo di un problema che coinvolge in Italia circa due milioni di persone con disturbo cognitivo lieve o demenza e circa tre milioni di italiani, tra familiari e caregiver, che vivono con loro».

All’indagine hanno partecipato 512 Cdcd su 540 (95%), l’80,9% dei quali è presente con sedi uniche, mentre il 19,1% ha distaccamenti territoriali per un totale complessivo di ulteriori 163 strutture. Sono localizzati per il 9,2% in Università o Irccs, per il 44,1% nel territorio e per il 46,7% negli ospedali.

I professionisti che lavorano nei Centri sono complessivamente 2.568, di cui il 14% non è strutturato. Nel 58,8% dei Cdcd è impegnato almeno un infermiere, nel 16,2% un assistente sociale, un amministrativo (8,9%), un logopedista (8,4%), un fisioterapista (6,4%), un genetista (1,6%), un terapista occupazionale (1,1%), un mediatore culturale (1,1%) e un interprete linguistico (1,1%).

Le modalità di accesso. Dall’indagine è emerso (la possibilità di risposta era multipla) che, per effettuare la prima visita, nel 53% dei casi, l’accesso è avvenuto tramite impegnativa del medico di famiglia per visita specialistica e contatto col Cup regionale; nel 47% è servita la stessa impegnativa e il contatto col Cup dell’ospedale; nel 43% l’impegnativa e il contatto col Cdcd; nel 4.5% c’è stata la possibilità di un contatto diretto con il Centro da parte del medico di famiglia o dei medici ospedalieri. La stessa modalità è stata usata per la successiva visita di controllo: nel 29% dei casi attraverso l’impegnativa e il Cup regionale, nel 30% attraverso l’impegnativa e il Cup dell’ospedale, nel 41% dei casi attraverso il medico di famiglia.

I servizi offerti. Nella fase diagnostica il 66,5% dei Cdcd ha offerto una Pet amiloidea (che valuta la presenza di placche a livello cerebrale) e nel 62,3% i marker liquorali, mentre nella fase assistenziale il 45,7% dei Centri ha fornito un servizio di telemedicina e l’80,7% un counseling individuale per i pazienti. Inoltre il 67,4% dei Cdcd offre una riabilitazione cognitiva e il 59,2% una riabilitazione motoria.

L’apertura dei Cdcd durante la pandemia. Nel 2020 il 63,2% dei Cdcd è rimasto parzialmente chiuso, circa il 44% per più di tre mesi. Il dato si è ridotto nel 2021 al 18,4% con una percentuale di chiusura superiore a tre mesi del 40% circa.