Diabete: difformità regionali nell’accesso ai sensori per il monitoraggio continuo
Per prevenire le complicanze del diabete è fondamentale il controllo ottimale della glicemia. Le nuove tecnologie di monitoraggio consentono di farlo in continuo e a distanza, semplificando la vita dei pazienti. Un’analisi in cinque Regioni dimostra disomogeneità nell’accesso all’innovazione
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Funzionano. E funzionano bene. I benefici per i pazienti sono stati dimostrati tanto negli studi clinici quanto nel mondo reale e i costi iniziali sono ampiamente compensati dal risparmio successivo sulle complicanze e i ricoveri.
Eppure, i dispositivi per il controllo continuo della glicemia nelle persone con diabete non sono ancora accessibili in maniera omogenea sul territorio italiano. È quanto emerso dall’analisi promossa dalla rivista Rh+ Regional Health in cinque Regioni italiane, Toscana, Piemonte, Veneto, Sicilia e Puglia, i cui risultati sono stati al cento del convegno “Innovazione e sostenibilità nella governance dei sistemi sanitari regionali: il caso del monitoraggio dei livelli glicemici nel paziente diabetico” che si è tenuto mercoledì 11 maggio a Roma.
«Abbiamo guardato cosa viene fatto, e come, per misurare i livelli glicemici nei pazienti diabetici, accorgendoci che ci sono grosse differenze nell’accesso alle cure e che questo non accada per negligenza dei medici né per ignavia dei pazienti: c’è un’inerzia strutturale di sistema che va capita e va superata. Cè poca attenzione al rispetto delle linee guida internazionali, c’è una mancanza di visione strategica che renda sinergiche e trasversali le politiche nel nostro Paese», sostiene Stefano Del Missier, vicedirettore Rh+
Un film invece della fotografia
I sensori per il controllo continuo della glicemia si impantano sotto la pelle, nell’addome, nel braccio o nel gluteo, per controllare i livelli di glucosio nel fluido interstiziale che circonda le cellule del tessuto sottocutaneo. I dati raccolti dal sensore vengono indirizzati in tempo reale, oppure su richiesta del paziente a seconda del tipo di dispositivo (Real Time Continuous glucose monitoring, RT-CGM oppure Flash Glucose Monitoring, FGM) a un display specifico o a una App su smartphone. Entrambi i sistemi, RT-CGM o FGM, sono indicati per persone con diabete di tipo 1 oppure di tipo 2 insulinotrattato.
«Rispetto al sistema tradizionale della puntura sul dito le nuove tecnologie forniscono un quadro completo dello stato glicemico del paziente, 24 ore su 24, misurando la concentrazione di glucosio ogni 1-5 minuti, in confronto alle 6-8 volte al giorno al massimo del glocometro», spiega Daniela Bruttomesso, dirigente medico della Divisione di Malattie del ricambio all'Ospedale Civile di Padova.
Il monitoraggio continuo permette di avere un “racconto” continuo dell’andamento della glicemia come se si trattasse di un film quando invece i sistemi tradizionali possono fornire solo fotografie limitate alla situazione di determinati momenti. Così il medico e il paziente possono avere avere il quadro completo e in base ai dati raccolti possono anche prevedere l’andamento della glicemia per il prossimo futuro e, in caso, intervenire in anticipo per correggere la terapia. Ma soprattutto, grazie ai sensori impiantati sotto pelle, si ha la possibilità di conoscere il tempo trascorso nel range glicemico raccomandato, un parametro chiave che è particolarmente indicativo della salute del paziente.
«Quanto più protratto è questo intervallo, tanto minore sarà la variabilità glicemica, che è associata ai danni ai vasi sanguigni e di conseguenza a un maggior rischio di insorgenza di complicanze», spiega Stefano Genovese, responsabile dell'Unità di Diabetologia, endocrinologia e malattie metaboliche, dell'Irccs Cardiologico Monzino di Milano.
Le evidenze scientifiche
Uno studio osservazionale svedese, pubblicato su Diabetologia, ha messo a confronto la misurazione dei livelli glicemici in 14.372 pazienti, effettuata con il sistema FGM rispetto alla misurazione attraverso la tradizionale puntura sul dito in altri 7.500 pazienti.
I risultati dimostrano che il sistema di monitoraggio continuo favorisce una riduzione dell’emoglobina glicata e riduce gli eventi ipoglicemici, particolarmente pericolosi. Uno studio francese pubblicato su Diabetes Care condotto su 74 mila pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 dimostra che i sensori sono in grado di ridurre i ricoveri di circa il 55 per cento nei pazienti con diabete di tipo 1 e del 30-40 per cento i ricoveri per altre complicanze acute (tra cui l’ipoglicemia) nei pazienti con diabete di tipo 2.
A risultati analoghi è giunto anche uno studio clinico della Regione Sicilia che ha coinvolto dieci centri diabetologici territoriali e un centinaio di pazienti, che ha osservato ricadute positive sulla qualità di vita dei pazienti, ma anche sulle spese sanitarie.
«I maggiori costi iniziali del device si compensano con i costi minori in termini di eventi avversi successivi», assicura Carla Giordano, professore di Endocrinologia, al Policlinico P. Giaccone, Palermo.
Uno studio di coorte condotto in Toscana che ha messo a confronto due gruppi di pazienti con caratteristiche simili, ha evidenziato come tra gli utilizzatori del sistema di monitoraggio continuo si ottenga una maggiore aderenza terapeutica agli obiettivi della cura, un dimezzamento dei ricoveri per eventi cardio- vascolari maggiori, con una riduzione pari al 100 per cento degli accessi in Pronto soccorso con complessivamente un risparmio pari a 1.600 euro a paziente.
Un investimento e non una nuova voce di spesa
«Le analisi economiche dicono chiaramente che non prendere in carico il paziente diabetico o ritardare la presa in carico fa aumentare i costi sanitari» osserva Francesco Saverio Mennini, presidente dela Società italiana di health technology assessement. Al contrario, «il monitoraggio continuo che permette di ridurre le ospedalizzazioni - aggiunge Mannini - non solo migliora la qualità di vita dei pazienti, ma riduce i costi sanitari. In Italia si assiste a una inerzia terapeutica e a una frammentazione di interventi sul territorio che non fanno bene all’economia».
La voce dei pazienti
«La vera sfida nella gestione del diabete - dice Manuela Bertaggia, presidente del Coordinamento delle associazioni dei pazienti del Veneto, - è avere un’elevata aderenza terapeutica. E questo traguardo si ottiene rafforzando l’alleanza con il diabetologo attraverso anche l’appropriatezza prescrittiva. Oggi il medico ha la possibilità di prescrivere un dispositivo che migliora la qualità della vita del paziente permettendogli di aumentare il tempo trascorso nel range del valore glicemico ottimale. È anche importante però che il paziente venga formato per usare al meglio il dispositivo, magari avviando progetti specifici nelle nuove Case di comunità»