Diabetici in pronto soccorso: con una presa in carico efficace si potrebbero evitare le complicanze
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“Continuità assistenziale”. Il termine tanto in uso nei documenti di politica sanitaria ha un significato concreto e facile da comprendere. Un esempio per tutti: una persona con diabete si reca al pronto soccorso a causa di una complicanza della malattia (ipglicemi, ipreglicemia, piede diabetico), viene assistita con le terapie più adatte per la fase acuta, viene ricoverata, in caso sia necessario, e poi viene dimessa. Non prima però di ricevere un piano di assistenza dettagliato che la accompagnerà una volta rientrata a casa e che eviterà nuove emergenze. La continuità assistenziale è questo. È un network che collega ospedale, territorio, rete di assistenza e paziente diabetico, con l’obiettivo di prevenire le complicanze croniche dei malati migliorandone lo stato di salute, riducendo i costi per il Servizio Sanitario Nazionale, e liberando le strutture di pronto soccorso dai casi non urgenti ed evitabili. Perché una malattia cronica come il diabete non ha bisogno della medicina d’urgenza ma di una gestione quotidiana efficace capace di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di alleggerire l’impatto della patologia sulla sanità pubblica.
È la soluzione caldeggiata dagli autori di uno studio realizzato da Bhave su oltre 100 strutture ospedaliere in tutta Italia e su circa 300mila accessi in Pronto Soccorso.
«La soluzione può venire solo da un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico ed efficiente che veda un’adeguata formazione del personale ospedaliero e territoriale, l’informazione del paziente/caregiver e degli operatori sanitari, oltre ad una reale presa in carico del paziente diabetico che deve prevedere un percorso assistenziale multiprofessionale, multidisciplinare, condiviso con tutti gli attori, compreso il paziente stesso e senza discontinuità. Un percorso oggi più agevolmente perseguibile anche con l’ausilio delle nuove tecnologie», ha dichiarato Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, presentando i dati principali dello studio oggi, 4 luglio, a Roma nel corso dell’incontro in Senato dal titolo “Diabete in pronto soccorso: e dopo?”
I dati
In Italia il 4,7 per cento della popolazione adulta fra i 18 e i 69 anni riferisce di una diagnosi di diabete. La prevalenza del diabete cresce con l'età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% fra quelle di 50-69 anni), è più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,3% vs 4,1%), ed è più frequente nelle fasce di popolazione più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche.
Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, si stima che almeno un diabetico su sei venga ricoverato in ospedale almeno una volta all’anno, un tasso doppio rispetto alla popolazione normale (235 ogni mille persone contro 99). Inoltre, questi pazienti rimangono in ospedale in media una giornata e mezza in più rispetto agli altri, con un evidente aggravio di costi per il SSN.
La quota più importante (50-70%) della spesa sanitaria attribuibile al diabete mellito, che si aggira attorno ai 10 miliardi di euro, è legata proprio ai ricoveri ospedalieri e alle complicanze.
È necessario un cambio di paradigma, dicono gli esperti, con il passaggio dal concetto di una sanità d’attesa, e quindi di cura della malattia, ad un concetto di sanità di iniziativa, e quindi di formazione e prevenzione dove l’utilizzo dei sistemi innovativi di monitoraggio del diabete potrebbero consentire una presa in carico ottimale del paziente, riducendo così il rischio di eventi acuti e complicanze croniche, e quindi di accessi in pronto soccorso.
Lo studio: che ci fa un paziente cronico in pronto soccorso?
Gli autori della studio hanno preso considerazione 290mila accessi rilevati su 109 strutture di emergenza sul territorio. Nel campione sono rappresentate tutte le fasce di età, con maggiore prevalenza della fascia centrale 19-49 anni per il diabete tipo 1 (63-74%) e della fascia 50-64 anni (35-44%) per il diabete tipo 2. Le principali motivazioni di accesso in pronto soccorso per diabete sono: ipoglicemia (20-56%), iperglicemia (16-45%), chetoacidosi (11-32%); piede diabetico (0-15%).
Insulina ed ipoglicemizzanti orali tradizionali sono le tipologie di farmaci maggiormente utilizzati dal paziente prima dell’arrivo in pronto soccorso. Le percentuali di utilizzo dei nuovi ipoglicemizzanti orali, dei GLP-1 e degli SGLT-2 sono bassissime. Colpa forse della “ripetitività” prescrittiva dei medici di medicina generale, o di un mancato aggiornamento, oppure ancora della reticenza del paziente a cambiare tipologia di farmaco.
Un dispositivo di monitoraggio continuo della glicemia è utilizzato solo dal 50 per cento circa dei pazienti: un altro dato indice della necessità di formazione e aggiornamento della medicina di territorio per indirizzare i pazienti verso l’impiego di strumenti capaci di rilevare le oscillazioni dei valori in qualsiasi momento e ridurre così il rischio di eventi acuti e complicanze croniche.
Interessanti anche le informazioni relative alle dimissioni dall’ospedale: negli accessi per ipoglicemia e per iperglicemia i pazienti vengono inviati alla dimissione al centro antidiabetico; solo per la chetoacidosi è previsto anche il ricovero.
L’impegno della politica
«I cittadini hanno diritto ad un adeguato servizio a tutela della salute. L’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e che sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza. Sono estremamente preoccupata – ha proseguito la parlamentare - perché questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze che non possono essere imputate agli operatori sanitari. La cronicità e il diabete in particolare rappresentano casi emblematici di come il territorio deve interfacciarsi con le strutture specialistiche, per ridurre al minimo le problematiche relative agli accessi ai pronto soccorsi, relative alle urgenze per ipo e iperglicemie gravi», ha sottolineato Daniela Sbrollini, senatrice Vice Presidente della 10ª Commissione permanente del Senato e presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili.