Malattie infiammatorie croniche intestinali: un paziente su quattro non ha accesso ai farmaci biologici
Senza il trattamento corretto, che permetterebbe di attenuare i sintomi e controllare i danni intestinali, i pazienti rischiano di superare “punti di non ritorno” che non consentono più un recupero funzionale
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I trattamenti ci sono. Permetterebbero, se somministrati tempestivamente, non solo di spegnere i sintomi ma in molti casi di controllare almeno temporaneamente la malattia. Eppure per ragioni che non sono del tutto chiare una fetta consistente di malati non ne ha accesso.
Succede ai pazienti italiani che soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), nello specifico malattia di Crohn e colite ulcerosa. Oltre un quarto di loro potrebbe (e dovrebbe secondo le indicazioni delle linee guida) essere curato con farmaci biologici, ma non riceve questi trattamenti, pur rispondendo ad almeno uno dei relativi criteri di eleggibilità.
A fotografare il fenomeno del sotto-trattamento con biologici nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali è stata una ricerca realizzata da CliCon - Health, Economics & Outcome Research. La ricerca è stata presentata giovedì 6 maggio in un evento in streaming promosso dal Gruppo italiano per le malattie infiammatorie croniche intestinali (Ig-Ibd) e dal Gruppo italiano biosimilari (Ibg) di Egualia, l’organizzazione rappresentativa dell’industria dei farmaci equivalenti, biosimilari e value added in Italia, con la partecipazione dell’associazione di pazienti Amici Onlus.
Invisibili, ma invalidanti
Le malattie infiammatorie croniche intestinali, un’etichetta in cui rientrano la malattia di Crohn e la colite ulcerosa appunto, sono patologie caratterizzate da un'infiammazione cronica di alcuni tratti dell’intestino. L’infiammazione, che è dovuta a una risposta immunitaria anomala della mucosa gastrointestinale, progressivamente altera l’anatomia e la funzionalità dell’intestino causando diarrea (talvolta mista a sangue, nel caso della colite ulcerosa), dolore addominale, febbre, inappetenza e perdita di peso.
«Le Mici colpiscono in Italia circa 250 mila persone, con una incidenza e prevalenza medio-alta e un picco di insorgenza in età giovane adulta, tra i 20 e i 30 anni (il 20 per cento dei casi sono diagnosticati in età pediatrica)», spiega Alessandro Armuzzi, responsabile del Comitato educazionale Ig-Ibd. «Sono malattie croniche, che alternano remissione e riacutizzazione, e sono caratterizzate in alcuni casi da manifestazioni extra intestinali, quali artriti, patologie infiammatorie cutanee, oculari o epatiche. Il tutto in una fase della vita in cui l’individuo è pienamente in attività e produttivo».
Per quanto “invisibili”, le Mici hanno un enorme impatto sulla qualità di vita dei malati.
«Queste malattie, proprio per l’impatto che hanno sulla quotidianità dei pazienti, sono associate a numerose problematiche fisiche e psicologiche che possono anche includere depressione e stress. Una riunione di lavoro o lo stare a tavola con la famiglia possono diventare attività incredibilmente difficili per chi ne soffre, che talvolta rischia il proprio posto di lavoro o un demansionamento a causa della malattia» ricorda il segretario generale Ig-Ibd, Marco Daperno.
«C’è inoltre da tenere conto che le Mici sono “patologie familiari”» precisa Salvo Leone, direttore generale di Amici Onlus. «Nel senso che se in un nucleo familiare c’è un malato con Mici - precisa - allora tutti gli altri membri della famiglia subiscono il peso di questa malattia cronica. Soprattutto se il portatore della malattie è anche il portatore del salario».
Una gestione possibile
Negli ultimi anni, il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali ha fatto molti progressi. «Le fasi acute possono essere tenute lontane per un periodo sempre più lungo, con importanti benefici fisiologici e psicologici per i pazienti, nonché con possibili impatti anche in termini di risparmio di interventi chirurgici e assenze lavorative» conferma Daperno.
I farmaci disponibili, infatti, utilizzati secondo una precisa progressione, permettono di alleviare i sintomi e ridurre la progressione del danno intestinale. «In linea generale le principali terapie farmacologiche sono i salicilati, i cortisonici, gli immunosoppressori, e terapie “avanzate” come i farmaci biologici e le “small molecules”. I farmaci biologici e biosimilari - assicura ancora ARmuzzi - svolgono un ruolo molto importante nella gestione del paziente affetto da Mici: quando utilizzati, hanno il vantaggio di portare a una veloce e immediata attenuazione, se non scomparsa, dei sintomi e a una cosiddetta “guarigione mucosale” delle ulcere».
Nonostante ciò, non tutti i pazienti ricevono il trattamento più appropriato, specie per quanto concerne l’utilizzo dei farmaci biologici, come ha mostrato la ricerca realizzata da CliCon. E in tal modo si rischia di permettere alla malattia di causare danni impossibili da recuperare.
Uno su quattro
«Ci siamo dati come obiettivo quello di stimare la quota di pazienti affetti da malattia di Crohn o colite ulcerosa eleggibili alla terapia biologica nel contesto della pratica clinica italiana» spiega l’economista Luca Degli Esposti (CliCon), coordinatore dello studio commissionato dal Gruppo italiano biosimilari di Egualia. «Abbiamo realizzato una analisi retrospettiva basata sui flussi amministrativi, cosiddetti real-world data, di un campione rappresentativo di Aziende sanitarie locali (Asl) distribuite in tutta Italia - precisa - per una popolazione di 6,8 milioni di cittadini, includendo tutti i pazienti con diagnosi di malattia di Crohn o colite ulcerosa a partire dal 2010». Dei 26.781 pazienti con diagnosi di malattia di Crohn o colite ulcerosa individuati, 3.125 (11,7%) sono risultati già in trattamento con un agente biologico. Per gli altri, i pazienti non trattati con farmaci biologici (23.656 in totale), 7.651, oltre un quarto della popolazione sotto esame, presentava uno o più criteri di eleggibilità alla terapia biologica.

Difficile comprendere le ragioni da cui origina il sotto-trattamento. Le ipotesi in campo sono diverse, ma nessuna da sola è sufficiente a spiegare il fenomeno. È possibile, per esempio, che la prescrizione dei farmaci biologici, più costosi, sia limitata da problemi di budget. Tuttavia, la disponibilità di prodotti biosimilari per queste patologia ha abbattuto drasticamente i costi al punto da rendere il trattamento ampiamente sostenibile. Soprattutto se si considera il risparmio in termini di spesa per assistenza sanitaria e costi indiretti prodotto da un trattamento appropriato. C’è chi chiama in causa la diffidenza o i timori dei pazienti per questi prodotti. In realtà, una ricerca realizzata da Amici su circa 1.700 pazienti ha concluso che non più del 5-6 per cento nutre dubbi sui farmaci biotecnologici. Ancora: è possibile che il problema nasca da una insufficiente comunicazione tra medicina del territorio e centri specialistici.
Servono ulteriori studi per dirlo. Intanto, è certo che l’effetto di un trattamento per i pazienti può essere disastroso.
«La malattia non correttamente aggredita, o trattata da farmaci che accumulano effetti collaterali come gli steroidi, per il paziente può fare la differenza tra recuperare dalle lesioni con un effetto positivo sulla qualità di vita - avverte Daperno - e incorrere in una malattia più aggressiva con il superamento di punti di non ritorno che non consentono più un recupero funzionale».
Non solo Mici
Quello del sotto-trattamento, in realtà, è un problema che non riguarda solo i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali. E anche la ricerca che oggi ha fotografato il fenomeno parte da lontano.
«Lo studio presentato oggi rappresenta una nuova tappa di un percorso che come associazione industriale abbiamo avviato nel 2018, quando abbiamo deciso di analizzare i dati di prescrizione pubblici in un primo studio che ha aperto la riflessione sul possibile sotto-trattamento di più patologie» ricorda Stefano Collatina, coordinatore del Gruppo italiano biosimilari di Egualia. All’epoca, una prima indagine aveva osservato una macroscopica incongruenza tra pazienti potenzialmente eleggibili a un trattamento biologico e malati che effettivamente ricevevano il trattamento. Successivamente una ricerca simile a quella presentata oggi ha mostrato che il fenomeno del sotto-trattamento riguardava circa il 10 per cento dei malati reumatici.
«Ancora una volta, come già accaduto per le malattie reumatologiche, ci troviamo faccia a faccia con delle evidenze di sotto-trattamento e con la necessità di individuarne le cause e le possibili soluzioni» prosegue Collatina. «Tra gli strumenti indispensabili dovrebbe figurare senz’altro l’ottimizzazione dei percorsi di cura e l’aggiornamento dei Pdta, assieme al rafforzamento dei centri specialistici e all’aggiornamento dei medici. Ma è cruciale anche - conclude Collatina - che il risparmio generato dai biosimilari possa essere reinvestito nella medesima struttura che lo ha generato con accordi di gain sharing che renderebbero disponibili per gli ospedali nuove risorse da destinare ad altre esigenze di trattamento».
L’impegno della politica
«Il tema del sotto-trattamento è un argomento noto» commenta il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri intervenuto all’evento. «Il punto di partenza per affrontarlo, per qualsiasi patologia, è partire da quanti pazienti sono da trattare, creando ad esempio un registro. Poi è necessario lavorare a stretto contatto con le Società scientifiche e le associazioni, e perché no, anche alle aziende, per creare adeguati percorsi, puntando su ricerca, formazione e programmazione. Su questi temi sarà istituito a stretto giro un tavolo di lavoro al ministero della Salute che lavorerà a stretto contatto con l'Intergruppo parlamentare parlamentare sulle malattie infiammatorie croniche intestinali, nato a fine marzo e promosso dall'Associazione Amici onlus: servirà - cocnlude Sileri - a convogliare sulla parte politica e istituzionale tutte le richieste emerse a livello nazionale attorno a questa tematica».