Nè adulti né adolescenti. La fragilità sottovalutata dei ventenni

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Nè adulti né adolescenti. La fragilità sottovalutata dei ventenni

Non sono più adolescenti e non sono ancora adulti. I giovani tra i 18 e i 28 anni sono più fragili di quanto si pensi e se vengono discriminati ripetutamente hanno un rischio elevato di sviluppare malattie mentali. Lo studio su Pediatrics

di redazione

L’età, l’aspetto fisico, il sesso, le origini etniche. Le discriminazioni subite per queste e altre ragioni nell’età di mezzo tra l’adolescenza e la maturità, ossia tra i 18 e i 28 anni, quando non si è più adolescenti ma nemmeno adulti, mettono a rischio la salute mentale.

Chi è stato ripetutamente e per periodi di tempo prolungati escluso da qualche attività, dalla cerchia di amici, dal lavoro, dallo sporto o dall’intera società, perché troppo grande o troppo piccolo, perché maschio o femmina, perché troppo grasso, troppo alto, troppo basso, perché straniero e perché troppo diverso, spesso sviluppa disturbi del comportamento e malattie psichiatriche. 

Lo denuncia uno studio pubblicato su Pediatrics condotto su oltre 1.800 americani che all’inizio dell’indagine avevano tra i 18 e i 28 anni. 

Questa fascia di età è stata finora trascurata dagli studi sulla salute mentale storicamente concentrati soprattutto sull’infanzia o sulla vecchiaia, i due periodi della vita considerati i più delicati per l’equilibrio psichico. Per la prima volta adesso viene data attenzione ai cosiddetti “young adult”, i ventenni di oggi non ancora uomini e donne fatti, ma non più ragazzi e ragazze. 

«Con il 75 per cento di tutti i disturbi di salute mentale che si manifestano entro i 24 anni, il passaggio all'età adulta è un momento cruciale per prevenire problemi di salute mentale e comportamentali. La pandemia di COVID-19 ha fatto emergere nuove sfide per la salute mentale, in particolare per le popolazioni vulnerabili. Abbiamo l'opportunità di ripensare e migliorare i servizi di salute mentale per riconoscere l'impatto della discriminazione, in modo da poterlo affrontare meglio per offrire un'assistenza più equa», ha dichiarato Yvonne Lei, ricercatrice presso la David Geffen School of Medicine dell'UCLA e autore corrispondente dello studio.

I ricercatori hanno utilizzato i dati di un’analisi condotta tra il 2007 e il 2017 dall’Università del Michigan intitolata Transition to Adulthood che aveva coinvolto più di 1.800 giovani adulti. 

Il 93 per cento degli intervistati era stato vittima di almeno un episodio di discriminazione nella sua vita. I motivi principali dell’emarginazione erano l’età (26%), l’aspetto fisico (19%), il sesso (14%) e l’etnia di appartenenza (13%). 

Come è prevedibile, maggiore è la frequenza degli episodi discriminatori, maggiore è il rischio di compromettere la salute mentale. 

Le persone che in più occasioni nell’arco di un mese venivano escluse, ignorate o trattate con sufficienza per determinate caratteristiche avevano circa il 25 per cento in più di probabilità di ricevere una diagnosi di malattia mentale e il doppio delle probabilità di sviluppare un grave disagio psicologico rispetto ai loro coetanei che non avevano subito discriminazioni o avevano sperimentato solo un paio di episodi all’anno. Ma, fanno notare i ricercatori, in tutto ciò può avere un peso anche un sistema sanitario, come quello americano, che non brilla per equità di trattamento. E può accadere che al danno si aggiunga la beffa. C’è la possibilità che le persone con malattie mentali sviluppate in quanto vittime di discriminazioni continuino a essere o a sentirsi emarginate anche dal sistema sanitario finendo per non ricevano le stesse possibilità di diagnosi, di cura e di assistenza delle persone più integrate nella società. 

«Le associazioni che abbiamo trovato sono probabilmente anche intrecciate con le disparità dei servizi di assistenza sanitaria mentale - comprese le disuguaglianze nell'accesso alle cure, i pregiudizi del personale e la discriminazione strutturale e istituzionale nell'assistenza sanitaria - che portano a disuguaglianze nelle diagnosi, nel trattamento e nei risultati", ha affermato l'autore senior dello studio, Adam Schickedanz, assistente professore di pediatria presso la Geffen School of Medicine.

Inoltre, le persone che avevano subito una qualsiasi forma di discriminazione avevano un rischio maggiore del 26 per cento di andare incontro a diversi problemi di salute, non solo di tipo mentale.