I primari oncologi ospedalieri: ridisegnare l’organizzazione dell’assistenza oncologica

Il Congresso  

I primari oncologi ospedalieri: ridisegnare l’organizzazione dell’assistenza oncologica

di redazione

Il rapporto medico-paziente, la comunicazione, i progressi della medicina e le cure sul territorio. Sono questi, e molti altri, i temi al centro centro del XXVII Congresso Nazionale CIPOMO, il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, dal titolo “L’Oncologia tra i successi di oggi e i traguardi di domani” (18 -20 maggio,La Spezia). 

Alla grande soddisfazione per i progressi medico-scientifici che garantiscono ai pazienti un aumento dell’aspettativa e della qualità di vita si affianca l’esigenza di rimodulare l’organizzazione dell’offerta sanitaria oncologica tra i vari setting assistenziali oggi disponibili. 

«Nel continuum del percorso oncologico, segnato da una alternanza di fasi di ‘acuzie’ e di ‘stabilità’ (cronicità) è necessario coniugare attività iper specialistiche in ambito ospedaliero con attività a minore intensità assistenziale offerte sul territorio in prossimità del domicilio del paziente, inquadrate in una programmazione terapeutica senza soluzione di continuità con l’ospedale. Per questo ci stiamo adoperando per favorire non solo l’integrazione tra ospedale e territorio ma anche la cooperazione con IRCCS, Università e associazioni dei pazienti, per sostenere la ricerca clinica diffusa nei territori ove si curano i malati e per rispondere al meglio ai loro bisogni», – sottolinea Luigi Cavanna, presidente CIPOMO. 

Sul piano clinico, sono numerosissime le novità. 

«Fondamentalmente i trattamenti diventano sempre più smart per questo abbiamo voluto dedicare a questo tema una sessione ad hoc. Per esempio, le chemioterapie precauzionali che permettono, in molti pazienti, di ridurre le ricadute dopo l’asportazione chirurgica di un tumore, ma con il grosso limite di essere applicate empiricamente solo sulla base di un calcolo statistico del rischio di recidiva -  potrebbero essere indirizzate in modo mirato ai pazienti che hanno residui microscopici di malattia dopo l’intervento chirurgico, sfruttando tecniche che consentono oggi di misurare il DNA tumorale circolante con un esame del sangue (biopsia liquida) come ‘spia’ della effettiva presenza di malattia residua. Questo non solo eviterebbe possibili effetti collaterali su pazienti completamente guariti (anche a livello molecolare) già con il solo intervento chirurgico, ma potrebbe potenzialmente aumentare l’efficacia delle terapie stesse. Anche la scelta della terapia per i pazienti metastatici – aggiunge – non dipende più solo dai risultati istologici ma anche e soprattutto dalla carta di identità molecolare del tumore, con conseguenti eclatanti miglioramenti in fatto di efficacia e di riduzione della tossicità», spiega Carlo Aschele co-presidente del Congresso. 

I nuovi farmaci, nell’ultimo anno, hanno rivoluzionato il trattamento delle neoplasie gastrointestinali, del polmone, rene, prostata, del distretto testa-collo e quelle femminili, dal tumore alla mammella a quello di endometrio, cervice uterina e ovario. «Le nuove opportunità di cura rendono infine ancora più importanti la tempestività della diagnosi e dell’accesso a percorsi di presa in carico multidisciplinare su tutto il territorio nazionale, anche per pazienti con malattia avanzata, per non perdere le chances di trarre beneficio dai trattamenti oggi disponibili» conclude Carlo Aschele.