I primari oncologi ospedalieri: a rischio l'equità di accesso alle terapie innovative

La survey

I primari oncologi ospedalieri: a rischio l'equità di accesso alle terapie innovative

di redazione

Sono le nuove frontiere per la gestione dei tumori, eppure le tecnologie Next generation sequencing (NGS), test di profilazione genomica in grado di analizzare l’intero genoma umano, e i Molecular tumor board (MTB), gruppi interdisciplinari dedicati all’interpretazione clinica dei dati disponibili, non sono implementati in modo omogeneo in Italia. Una disparità che potenzialmente mette a rischio le pari opportunità di accesso alle terapie innovative per i pazienti. Nei Centri specializzati per terapie oncologiche il NGS è utilizzato solo nel 50% dei casi e i MTB sono presenti a macchia di leopardo, in 13 Regioni su 19, con una grande variabilità di modelli organizzativi. Sette i MTB regionali censiti, ma ci sono anche gruppi intraregionali aziendali o di rete. Soprattutto, un terzo dei professionisti (il 33,6%) non ha accesso al team.

Sono questi i principali risultati emersi dalla survey nazionale condotta dal Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) nell’ambito del Progetto Oncologia di precisione, pubblicati sulla rivista internazionale The Oncologist.

L'indagine è stata condotta dal 10 al 28 febbraio e vi hanno partecipato 129 direttori di Dipartimenti di Oncologia medica di 19 Regioni Italiane.

Nelle Aziende che utilizzano il sequenziamento NGS, i laboratori sono collocati nell’81,4% dei casi internamente alla struttura o nella rete regionale. Solo il 18,6% si rivolge a servizi privati.

I MTB erano presenti e formalmente decretati, al momento della survey, in Piemonte, Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania e Sicilia. In Puglia era presente, ma non ancora formalmente decretato. Il 43,7% dei professionisti dichiara di non aver mai avuto bisogno di segnalare al MTB casi per consulenza e il 32,4% ritiene che l’attuale organizzazione delle MTB nel proprio contesto non soddisfi le proprie esigenze.

Chiedendo ai professionisti quale sia livello più opportuno per l’istituzione di un MTB è emerso che il 38,6% preferirebbe un MTB regionale, il 43,6% ritiene più funzionale un livello intraregionale (33,7% nella rete Hub&Spoke, il 7,9% come singolo Hub e il 2% come unico Spoke) e il 17,8% considera che la coesistenza di una MTB locale per l’attività clinica di routine e di un MTB regionale di coordinamento possa essere la soluzione migliore.

Dalla survey è emerso inoltre un orientamento netto a favore di una composizione agile dei MTB, che veda presenti stabilmente alcune figure chiave in numero inferiore rispetto ai primi MTB regionali istituiti che comprendevano molte più figure professionali. Tutti i direttori hanno concordato con la presenza di un oncologo (100%) e la maggioranza ritiene indispensabile per un MTB la presenza di biologi molecolari (96%), patologi (92%), genetisti (76%), farmacisti ospedalieri (60%) e case manager (57%).

Altro nodo è quello del consenso informato, gestito in modo diverso nelle varie realtà analizzate. Il 53,5% degli oncologi intervistati riferisce che è richiesto un consenso per le analisi molecolari, il 36,6% che non viene richiesto in quanto implicito nel percorso diagnostico-terapeutico e il 9,9% che il consenso ai pazienti è richiesto solo per il NGS.

«Sulla base di questa analisi – commenta Luigi Cavanna, presidente del Cipomo – le Istituzioni di Governo possono trarre utili spunti per affinare i provvedimenti e per applicarli nei diversi ambiti. Bisogna tener conto degli elementi essenziali necessari per rendere l’Oncologia di precisione fruibile a tutti i potenziali destinatari, in modo appropriato e sostenibile».