Stop al marketing aggressivo del latte artificiale

La denuncia

Stop al marketing aggressivo del latte artificiale

Le aziende produttrici di latte artificiale manipolano le informazioni scientifiche per aumentare le vendite. Serve un trattato legale internazionale per porre fine al marketing selvaggio del latte artificiale. L’appello su Lancet

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Immagine: David Leo Veksler, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione

Bambini che diventano più intelligenti a ogni sorso, neonati che smettono di piangere, coliche che scompaiono magicamente e genitori che dicono addio alle notti in banco. Si chiamano “amazing milk”, “goldenmilk”, “optimilk” e promettono di migliorare la salute, la felicità, il benessere e anche il quoziente di intelligenza dei bambini sin dalla nascita. Nella realtà le etichette del latte artificiale per neonati, almeno quelle dei prodotti in vendita in Italia e in altri Paesi d’Europa, sono meno spregiudicate di quelle ospitate su un dossier di The Lancet dove vengono denunciate in una serie di tre articoli le strategie di marketing aggressive delle case che producono latte in formula. Le confezioni mostrate nella rivista sono invenzioni grafiche e non immagini vere e proprie dei prodotti in vendita, ma, secondo i ricercatori, sono simulazioni fedeli di quello che si trova sul mercato. 

E dalle pagine di Lancet lanciano un appello per imporre nuove regole alla pubblicità. In particolare propongono l’approvazione di un trattato internazionale che metta fine una volta per tutte  al «marketing irresponsabile» delle aziende che ostacola l’allattamento al seno. 

L’International Code of Marketing of Breast-milk (the Code) proposto dall’Oms nel 1981 che prevede l’adesione volontaria dei Paesi interessati a “sponsorizzare” il latte materno al posto di quello artificiale non basta. Le industrie continuano a violare indisturbate le regole del codice, ricorrendo a tecniche di convincimento eticamente inaccettabili e   ad affermazioni senza alcun fondamento scientifico.   

Tutte le tecniche per vendere 

Le donne vengono convinte, per esempio, a interpretare il pianto persistente del neonato, come un segnale che il latte materno è insufficiente. «L’industria del latte artificiale utilizza falsa scienza per suggerire, con poche prove a sostegno, che i loro prodotti sono soluzioni ai comuni problemi della salute e dello sviluppo dei bambini. Le pubblicità affermano che le formule specializzate alleviano il lamento, aiutano con le coliche, prolungano il sonno notturno e favoriscono persino un'intelligenza superiore. Le etichette usano parole come "cervello", "neuro" e "QI" con immagini di bambini in fase di sviluppo iniziale. Ma gli studi non mostrano alcun beneficio degli ingredienti contenuti nel prodotto sul rendimento scolastico o sulle capacità cognitive a lungo termine. Questa tecnica di marketing viola il Codice del 1981, che afferma che le etichette non dovrebbero idealizzare l'uso del latte in formula», afferma Linda Richter, della Wits University, in Sudafrica, tra i firmatari della denuncia su Lancet. 

L’alibi del femminismo regge solo perché manca sostegno alle donne 

Gli autori dei tre articoli invitano le donne a non cascarci:  l'industria del latte artificiale fa passare l’allattamento al seno come un’imposizione antifemminista, mentre presenta il latte artificiale come una soluzione conveniente ed emancipatrice per le madri che lavorano. 

Questo messaggio fuorviante rischia di trovare terreno fertile se le politiche a sostegno delle donne non migliorano. 

Sono necessarie, scrivono i ricercatori, azioni più ampie nei luoghi di lavoro, nella sanità, nei governi e nelle comunità per sostenere in modo più efficace le donne che vogliono allattare. Mezzo miliardo di donne lavoratrici nel mondo non ha diritto a un'adeguata tutela della maternità. Eppure, come dimostra una revisione sistematica degli studi, le donne con un congedo di maternità minimo di tre mesi, retribuito o non retribuito, hanno almeno il 50 per cento in più di probabilità di continuare ad allattare rispetto alle donne che tornano al lavoro entro tre mesi dal parto.  Gli esperti chiedono ai governi e ai datori di lavoro di riconoscere il valore dell'allattamento al seno estendendo la durata del congedo di maternità retribuito per sei mesi, per allinearsi alle linee guida dell’OMS che sottolineano l’importanza dell’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita del neonato.

«Dire alle madri che l'allattamento al seno è la cosa migliore per la salute dei loro bambini non serve a nulla se le donne non sono sostenute nel comprendere e gestire i comportamenti destabilizzanti del bambino, o se le madri senza congedo di maternità o retribuzione sono costrette a tornare al lavoro per necessità finanziarie»,  afferma. Julie Smith, Università nazionale australiana. 

La pubblicità camuffata sui social 

Il messaggio pubblicitario arriva sotto forma di consiglio, magari da una mamma influencer che come tante sue follower ha difficoltà ad allattare al seno. Oppure è inserito sotto tono in una app pensata per aiutare i genitori a gestire i primi mesi di vita del bambini, consultabile 24 ore su 24, 7 giorni su 7. E dopo poco arrivano delle offerte imperdibili sui prodotti oppure vengono recapitati a casa campioni omaggio da provare. Gli autori denunciano la debolissima regolamentazione dell'industria del latte artificiale online e le regolari violazioni del Codice.

Dalla revisione di 153 studi emerge come le pratiche di marketing in violazione del Codice siano proseguite dalla sua adozione più di 40 anni fa a oggi  in oltre 100 Paesi e in ogni parte del mondo. 

Serve un trattato internazionale 

«Il codice volontario non funziona: le aziende di latte artificiale hanno scelto di ignorare le linee guida e di fare pressioni ad ogni occasione per indebolire la regolamentazione. Abbiamo bisogno di un trattato legale internazionale più rigoroso sulla commercializzazione del latte artificiale che sia introdotto nel sistema normativo dei Paesi in tutto il mondo. Il trattato deve proteggere il processo decisionale dall'influenza dell'industria, con l'obbligo per gli alti funzionari pubblici di divulgare gli incontri con i lobbisti e l'obbligo per le organizzazioni scientifiche di divulgare le fonti di finanziamento e i membri dei gruppi consultivi di esperti. Ciò regolerebbe l'industria del latte artificiale commerciale senza limitare la vendita dei prodotti a coloro che ne hanno bisogno o li desiderano. Più in generale, la comunità globale e della sanità pubblica deve anche essere molto più critica nei confronti dei partenariati pubblico-privato che consentono o tollerano conflitti di interesse», conclude David McCoy della United Nations University.