Transgender: una crocetta sulla carta d’identità può fare la differenza
“M” o “F”. Così viene indicato il sesso di un individuo sui documenti anagrafici. Per chi ha intrapreso un percorso per cambiare l’identità di genere quelle due lettere assumono un significato fondamentale.
Riconoscersi nel sesso maschile o femminile indicato nella carta d’identità favorisce il benessere psicologico allontanando il rischio di disturbi psichiatrici e pensieri suicidi. Il dato non sorprende: a nessuno piacerebbe che gli venisse attribuita un’identità in cui non ci si riconosce.
Ma ora un nuovo studio pubblicato su The Lancet Public Health dimostra i reali benefici dell’aggiornamento dei documenti per la salute mentale di chi ha cambiato sesso. I ricercatori hanno condotto un’indagine tra 20mila americani adulti con una nuova identità sessuale, valutando l’impatto psicologico della documentazione anagrafica.
Le persone transessuali sono più esposte al rischio di depressione, si stima che la percentuale di chi ha avuto almeno una volta nella vita pensieri suicidi sia del 30 per cento rispetto al 9 per cento della popolazione generale.
In molti casi questo malessere può dipendere da un mancato riconoscimento sociale della propria identità. Se nei documenti anagrafici è ancora riportato nero su bianco un dato in cui non ci si rispecchia l’equilibrio psichico può risentirne profondamente.
I ricercatori hanno analizzato i dati di più di 22mila transessuali a cui era stato chiesto se i loro documenti anagrafici, carta di identità, tessera sanitaria, passaporto ecc…, rispecchiavano le loro preferenze sul nome e sul sesso.
Il disagio psicologico è stato misurato ricorrendo a una scala validata con un punteggio compreso tra 0 e 24, in cui un punteggio di 13 o superiore indicava un grave malessere psichico. Per valutare il rischio di suicidio degli intervistati, è stato chiesto loro se avessero preso seriamente in considerazione l’ipotesi di togliersi la vita nei 12 mesi precedenti, o se avessero mai pianificato o tentato il suicidio.
Incrociando i dati delle risposte ed escludendo altri fattori che avrebbero potuto influire sui risultati, i ricercatori hanno osservato che il 45,1 per cento dei partecipanti non aveva i documenti d’identità che avrebbe voluto, con un nome e un sesso in cui riconoscersi. Il 44,2 per cento si identificava solamente in parte con i dati anagrafici (nome o sesso) e solamente il 10,7 per cento possedeva una carta di identità in cui potersi rispecchiare pienamente.
Chi apparteneva a quest’ultima categoria aveva un rischiuo ridotto del 32 per cento il rischio di disagio psicologico rispetto a chi non aveva documenti in linea con la nuova identità. Le persone in sintonia con i propri dati anagrafici avevano il 22 per cento in meno di probabilità di avere pensieri suicidi.
Gli individui solo parzialmente soddisfatti dei dati sui documenti riducevano solo del 12 per cento la probabilità di coltivare idee suicide.
«Il momento in cui una persona trans ottiene il cambio di sesso nei propri documenti ufficiali può rappresentare un passo fondamentale verso l'accettazione sociale e il riconoscimento legale. I nostri risultati suggeriscono che dovrebbero essere prese in considerazione modifiche specifiche alle politiche per sostenere le persone in questa particolare fase al fine di aiutare a migliorare il loro benessere e ridurre la loro esposizione alle discriminazioni e allontanare i pensieri suicidi», afferma Greta Bauer della Western University, in Canada a capo dello studio.
Ad ostacolare l’aggiornamento della documentazione intervengono vari fattori tra cui gli eccessivi costi delle pratiche burocratiche, la scarsa conoscenza della legge e dei requisiti richiesti per avviare la procedura, trafile lunghe e complicate.
«I nostri risultati suggeriscono che i governi e gli organi amministrativi possono svolgere un ruolo importante nel contribuire a ridurre il disagio psicologico per le persone trans, semplicemente facilitando l'accesso ai documenti anagrafici che riflettono la loro identità», afferma Ayden Scheim dell'Università di Drexel, tra i firmatari dell’indagine.