Aumentano i tumori del seno, diminuisce la mortalità
«Di tumore al seno si può guarire». Di più: «Di tumore al seno si deve guarire». È questo il primo, chiaro messaggio che Sabino De Placido, docente di Oncologia medica all’Università Federico II, e Michele De Laurentiis, direttore dell'Unità di Oncologia senologica dell’Istituto Pascale di Napoli, lanciano in occasione del convegno Breast Journal Club sull’Importanza della ricerca in oncologia che per due giorni (venerdì 10 e sabato 11 marzo) ha visto riuniti nel capoluogo campano alcuni tra i più importanti esperti nazionali e internazionali sulla patologia.
Nel nostro Paese i nuovi casi di tumori del seno sono in aumento: nel 2016 ne sono stati diagnosticati 50 mila, ovvero 2 mila in più rispetto al 2015. La mortalità, però, è in costante diminuzione, in particolare nelle donne fra 50 e 69 anni (-1,9% ogni anno), a cui è indirizzato lo screening mammografico. È la dimostrazione dell’efficacia di questi programmi che in alcune Regioni stanno coinvolgendo anche le donne over 45, estendendo così il target di riferimento. Quando la malattia è individuata il fase precoce, infatti, le guarigioni (perché di questo, ormai, parlano gli esperti) superano l'80%. A condizione, naturalmente, che la diagnosi sia corretta e tempestiva e che i trattamenti siano applicati nei tempi e nelle modalità adeguate. Fatto è che le stime parlano di oltre 692 mila italiane che oggi vivono dopo aver avuto una diagnosi di tumore del seno.
Purtroppo, però, non è sempre così e, come ricorda Stefania Gori, presidente eletto dell'Aiom l'Associazione di oncologia medica, quasi la metà (il 45%) delle donne non si sottopone agli esami in grado di diagnosticare precocemente la malattia.
La ricerca, fortunatamente, non si ferma e oggi, rispetto anche a pochi anni fa, conosciamo meglio i meccanismi biologici che sono alla base dei tumori, cosicchè «le terapie sono sempre più mirate contro le cellule cancerogene e meno tossiche per il resto dell’organismo. Questi farmaci innovativi – precisa De Laurentis - si aggiungono alle varie armi già a disposizione dell’oncologo come chemioterapia, radioterapia o ormonoterapia. In particolare nab-paclitaxel è un farmaco che sfrutta le nanotecnologie e che ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza del 20%».
In Italia negli ultimi dieci anni sono state svolte 230 sperimentazioni cliniche in ambito oncologico. Nonostante ciò il sistema di ricerca nel nostro Paese «è fortemente limitato da alcuni eccessi burocratici. Per esempio – ricorda De Placido - occorrono 17 settimane per avviare uno studio clinico mentre nel Regno Unito ne bastano cinque. Inoltre, nella Penisola, sono attivi 96 Comitati etici che devono esprimere un parere sulle sperimentazioni. Seppur in riduzione, il loro numero è ancora il doppio rispetto alla media del Vecchio Continente. È quindi necessario rivedere le norme che regolano questo particolare ambito della medicina e, al tempo stesso, favorire il più possibile la ricerca clinica indipendente attraverso nuovi investimenti pubblici».
«Crediamo fortemente nella ricerca e innovazione in oncologia – assicura Federico Pantellini, Medical Affairs Director Oncology and Haematology di Celgene, l'azienda che ha sostenuto il convegno napoletano -e per questo investiamo in questo settore risorse importanti. I numeri parlano da soli: 120 milioni di euro investiti in Ricerca e sviluppo, fino al 2016, da studi di fase I a quelli di fase III. Nell’ambito delle nanotecnologie, tra ricerca sponsorizzata e ricerca indipendente, sono stati condotti in Italia oltre venti programmi di ricerca, arruolando oltre trecento pazienti nei soli studi Company sponsored».