Car-T: verso una terapia sempre più personalizzata per i tumori dle sangue

Lo studio

Car-T: verso una terapia sempre più personalizzata per i tumori dle sangue

di redazione

Personalizzare. È la parola d’ordine per rendere ancora più efficace  la terapia CAR-T applicata con successo su alcuni tipi di neoplasie ematologiche, come per esempio i linfomi non Hodgking e le leucemie linfoblastiche, nei pazienti che non hanno risposto o hanno risposto in modo incompleto alle terapie convenzionali. 

Personalizzare è necessario per rispondere ai bisogni di una quota consistente di soggetti che non risponde neppure alle terapie Car-T, o risponde solo parzialmente. Ora un nuovo studio dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) pubblicato su British Journal of Haematology ha chiarito alcuni aspetti importanti di queste mancate risposte terapeutiche, aprendo interessanti prospettive sia per la pratica clinica sia per la ricerca.

«Le Car-T vengono proposte a pazienti con linfomi che hanno una ricaduta di malattia dopo i trattamenti convenzionali e non hanno più alternative terapeutiche: il 40-45 % dei soggetti sottoposti a questa terapia sopravvive a lungo termine, cioè è vivo e in remissione a un anno ed è guarito, perché le ricadute tardive, oltre l’anno, sono eventi molto rari. Rimane però il problema del 55-60 per cento dei soggetti restanti che non risponde alle Car-T, oppure risponde solo parzialmente e ha una nuova ricaduta a breve termine», speiga Paolo Corradini, direttore della Struttura Complessa di Ematologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. 

Dall’analisi di un campione di pazienti discretamente numeroso sono emersi alcuni dati fondamentali, utili come indicatori della risposta alla Csr-T: il primo è che un livello di Dna libero circolante tumorale al di sopra di una certa soglia, individuata nello studio, è predittivo di una scarsa risposta alla terapia. «Questo risultato è particolarmente importante perché attualmente sono disponibili farmaci, come gli anticorpi inibitori dei checkpoint immunitari o gli anticorpi bispecifici, come il glofitamab, che potrebbero modulare la risposta in alcuni pazienti, se individuati per tempo», commenta Corradini.

Un risultato molto incoraggiante, che però dipende in modo cruciale dal tipo di mancata risposta terapeutica.

«Se il paziente non ha mai risposto alle Car-T, e va quindi incontro a una franca progressione, purtroppo non ci sono opzioni terapeutiche efficaci. Diverso è invece il caso di un paziente che ha avuto una risposta parziale alle Car-T e in cui magari la malattia va in progressione dopo qualche mese: in questo caso, la malattia viene controllata meglio, ottenendo una migliore risposta e una maggiore sopravvivenza se, in concomitanza, viene fatto qualche trattamento immunologico, o anche una chemioterapia o una radioterapia: questo è il secondo risultato importante che abbiamo ottenuto, che conferma quanto già emerso da altri studi»,  ha chiarito Corradini. 

Rilevante ai fini degli esiti clinici è anche il tempo che trascorre dal trattamento Car-T alla progressione di malattia. Per esempio un paziente che risponde alle Car-T per quattro mesi per poi andare incontro nuovamente a una progressione di malattia se viene trattato successivamente con un anticorpo bi-specifico, la probabilità di rispondere al trattamento è decisamente più alta rispetto a un soggetto che purtroppo va già in progressione dopo 30 giorni, e che quindi mostra una risposta brevissima o addirittura non mostra alcuna risposta. «Ciò induce a considerare la prima come una malattia parzialmente immuno-sensibile e la seconda una malattia del tutto immuno-resistente», dice Corradini.

Tutti questi dati, considerati insieme, fanno pensare che il risultato clinico dipenda in definitiva da molteplici variabili, molte delle quali rimangono ancora sconosciute, anche se la ricerca sta gradualmente gettando una luce su alcuni meccanismi fondamentali.

«In conclusione, possiamo lanciare un messaggio positivo: in questo ultimo lavoro, mostriamo che i pazienti che hanno avuto una ricaduta dopo la terapia con Car-T hanno comunque una possibilità del 30 per cento di sopravvivenza a due anni. Può sembrare un numero limitato, ma occorre considerare che si tratta di pazienti che in precedenza avrebbero avuto un tracollo rapidissimo della situazione clinica; l’obiettivo della nostra ricerca è ora di riuscire a individuare in anticipo la quota di pazienti che con maggiore probabilità risponderanno alla terapia con le Car-T e la quota  invece sarebbe meglio inviare direttamente alla terapia con anticorpi bispecifici, in un’ottica di sempre maggiore personalizzazione delle cure oncologiche», ha spiegato in conclusione Corradini.