Covid-19, l'antivirale Paxlovid poteva essere la svolta, ma non è andata così. Come mai?
Una serie di fattori hanno contribuito al mancato successo di una terapia annunciata come una svolta. Molto ha pesato il timore dell’effetto rebound. Che però esiste anche nei casi di Covid non trattati con Paxlovid e che è comunque meno pericoloso della malattia grave. L’analisi su Nature
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Non proprio la “manna dal cielo”, ma quasi. La terapia antivirale Paxlovid (combinazione di nirmatrelvir e ritonavir), appena entrata in scena alla fine del 2021, venne accolta come una svolta nei trattamenti anti-Covid. I dati dei trial clinici giustificavano l’entusiasmo: la terapia combinata prometteva una riduzione del 90 per cento del rischio di Covid grave se assunta nei primi tre giorni dalla comparsa dei sintomi. Oggi, a più di un anno dalla sua approvazione, il bilancio sull’impatto di Paxlovid non è così positivo come ci si sarebbe aspettato. I morti di Covid sono ancora tanti anche nei Paesi cha hanno facilità di accesso al farmaco.
Il giornalista di Nature Max Kozlov in un articolo on line si è chiesto come mai le promesse di Paxlovid non siano state mantenute. Cosa è andato storto? Le ipotesi sono diverse. Il dato di partenza però è uno: la combinazione di antivirali è stata usata poco, molto meno di quanto sarebbe stato necessario per arrivare a ottenere i benefici sperati, ossia una riduzione evidente dei decessi per Covid-19. Gli elevati costi del farmaco e la necessità di un’assunzione precoce ne hanno probabilmente limitato la diffusione anche nei Paesi ricchi. Ma ha pesato indubbiamente anche il sospetto di un “effetto rebound”. In alcuni pazienti trattati con l’antivirale sia i sintomi che le particelle di virus ricomparivano a distanza di pochi giorni dalla loro scomparsa ottenuta prontamente con la terapia. E così, nonostante sia stato fortemente raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nei casi a maggior rischio di ricovero, il farmaco formato dalla combinazione di nirmatrelvir/ritonavir è stato somministrato in rare occasioni. Nel Regno Unito solo lo 0,5 per cento dei pazienti con Covid ha ricevuto la terapia prodotta da Pfizer. Negli Stati Uniti, il Paese che ne ha fatto l’uso maggiore, non si è superata la quota del 13 per cento.
Eppure, una volta accertata l’inefficacia degli anticorpi monclonali, Paxlovid resta uno dei pochi strumenti per prevenire la morte dei pazienti ad alto rischio e il “farmaco di scelta" per tutte quelle persone che non rispondono ai vaccini e che non possono, per difetti del sistema immunitario, proteggersi dal Covid con l’arma dell’immunizzazione che è indubbiamente la più efficace.
Paxlovid funziona inibendo il processo di replicazione del virus che avviene prevalentemente nella fase iniziale della malattia. Vuol dire che il farmaco deve essere assunto prima possibile, al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi. Il che implica una serie di presupposti: una diagnosi precoce (sistema efficace di test), una consapevolezza del rischio personale, una facilità di accesso alle strutture sanitarie che somministrano la terapia, un medico disposto a prescrivere il trattamento mettendo in conto la possibilità di dover gestire e giustificare un eventuale effetto rebound. I casi celebri del presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dell’immunologo Anthony Fauci, tornati positivi dopo pochi giorni dalla fine della terapia con Paxlovid, hanno contribuito ad alimentare la diffidenza nei confronti del farmaco.
Ma il fenomeno del “rimbalzo”, con un ritorno dell’infezione a distanza di pochi giorni dalla guarigione, si verifica anche nei pazienti che non assumono Paxlovid. E mancano ancora stime precise sulla frequenza del rebound con o senza Paxlovid. Alcuni scienziati ritengono che i timori siano eccessivi. Tra questi c’è Davey Smith, infettivologo della University of California, San Diego, intervistato su Nature, che promuove Paxlovid considerando i benefici superiori ai rischi. In caso di rebound, dice l’esperto, i sintomi che riaffiorano sono lievi e sono di gran lunga preferibili al ricovero o alla morte.
«È un farmaco rivoluzionario che ha una buona efficacia, anche nell'ambito di Omicron. Ma il rebound è stato etichettato come un motivo per non prendere il farmaco, il che è un peccato», afferma Smith.
Nel frattempo arrivano sul mercato i concorrenti da oriente: l'ensitrelvir, un antivirale da assumere una volta al giorno (Paxlovid consiste in tre pillole da assumere due volte al giorno) prodotto dalla società farmaceutica giapponese Shionogi già autorizzato in Giappone, e un farmaco per l'HIV autorizzato in Cina per Covid-19 di cui per ora si sa poco o niente, mancando ancora dati degli studi clinici.