Disturbi urinari maschili: la metà dei casi giovanili sfugge alla diagnosi
Vengono chiamati disturbi del basso tratto urinario o LUTS (Lower Urinary Tract Symptoms) e sono un’ampia gamma di disturbi urologici che colpisce in maniera, più o meno, grave un’ampia fetta della popolazione maschile. Non solo gli anziani, ma anche uomini giovani o di mezza età: si stima per esempio che ne sia affetto il 40% dei 40enni.
Tuttavia, pazienti più “giovani” realmente assistiti e curati da un urologo sono pochi. Esiste, infatti, una grossa mole di casi “sommersi” prima dei 60 anni che può ammontare fino al 50%.
È quanto emerge dal simposio Unveiling Prostatic Inflammation To Optimize Luts Management organizzato da Pierre Fabre Pharma in occasione del Congresso della Società Europea di Urologia (EAU), che si apre oggi a Milano.
«I LUTS rappresentano un disturbo delle basse vie urinarie che può far scadere la qualità di vita ed impattare anche sulla sfera sessuale», spiega Mauro Gacci, docente dell’Università degli Studi di Firenze presso il centro di Chirurgia urologica mini-invasiva, robotica e dei trapianti renali, Azienda Ospedaliera Universitaria “Careggi”. «La prevalenza del disturbo cresce con l’avanzare dell’età e può interessare oltre il 70% degli over 70. Si contraddistinguono da alcuni sintomi ostruttivi ed irritativi e chi ne soffre ha serie difficoltà ad urinare o è obbligato a svegliarsi più volte di notte per andare in bagno. Dipendono per oltre 80% da problemi della prostata in quanto la ghiandola può essere ingrossata, infiammarsi o presentare una particolare morfologia. In particolare l’infiammazione della prostata può guidare lo sviluppo e la progressione dell’ipertrofia prostatica benigna, una delle malattie croniche più frequenti nella terza età. La presenza di un’infiammazione prostatica persistente ha un impatto sulla gestione sia dei LUTS che dell’ipertrofia prostatica. Noi specialisti siamo troppo spesso costretti ad intervenire tardi e cioè solo quando la sintomatologia è diventata ormai troppo evidente e fastidiosa per il paziente. Si rende perciò necessario un trattamento più invasivo mentre dovremmo poter gestire la malattia in uno stadio il più possibile precoce».
«Oggi sono disponibili diverse tipologie di cure. Quando i sintomi sono molto impattanti nella vita quotidiana si può ricorrere al trattamento medico che rappresenta di solito il primo step. Esistono poi delle nuove tecniche chiamate mini-invasive che sono una sorta di “terza via” tra le cure mediche e gli interventi chirurgici. Quest’ultimi invece si avvalgono di tecnologie innovative come i laser o la chirurgia robotica oltre che alle tecniche tradizionali di resezione. I LUTS sono influenzati da diversi fattori e questo rende anche diverse le esigenze dei malati. La pletora di terapie disponibili rende poi indispensabile una selezione ottimale, da parte dello specialista, della cura. Deve riuscire a personalizzarla tenendo conto del profilo clinico del paziente, delle sue preferenze nonché dello stato d’infiammazione prostatica», spiega Cosimo De Nunzio, docente di Urologia e Dirigente Medico presso il reparto di Urologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Sant’Andrea” di Roma.
Sono disponibili anche dei farmaci. Per esempio, «l’estratto esanico di Serenoa repens è una delle poche terapie mediche in grado di migliorare la sintomatologia senza avere alcun impatto sulla sfera sessuale», prosegue Gacci. «Fondamentale è anche intervenire sugli stili di vita che possono favorire la malattia», conclude De Nunzio.