Gli internisti: sfoltire le prescrizioni di farmaci
Ogni specialista prescrive il farmaco per la malattia di sua competenza. E così succede che una persona anziana affetta da più malattie contemporaneamente collezioni 5-6 medicinali da assumere quotidianamente. Avere una “regia’ centrale”, come quella offerta dal medico internista, mette al riparo i pazienti dai rischi di una “polifarmacia” troppo affollata. È una delle questioni sollevate al convegno della Società Italiana di Medicina Interna.
«È necessario invertire questa tendenza e inaugurare l’era del “deprescribing”. Ma perché questo avvenga, dobbiamo aumentare la consapevolezza di pazienti e medici, in particolare quelli di famiglia e gli internisti, invitandoli, dopo un’anamnesi farmacologica accurata, a ‘sfoltire’ le prescrizioni a cominciare dai loro pazienti più anziani. L’eccessiva prescrizione di farmaci può determinare gravi interazioni farmacologiche e mettere a dura prova i reni e il fegato dei pazienti più anziani, e questo fenomeno sta cominciando ad emergere in tutta la sua gravità anche all’estero», ricorda Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna. Nel 2016 la Simi ha lanciato la campagna ChoosingWisely, sulla scorta di quanto stava accadendo negli Stati Uniti, in Canada e in moltissimi paesi europei, adottando lo slogan “less is more”. «Il razionale di questo nuovo approccio culturale è di sensibilizzare medici e pazienti a ridurre esami e trattamenti che hanno dimostrato una scarsa utilità e quindi aumentare la sicurezza dei pazienti da una parte, riducendo gli sprechi dall’altra. La nostra Società è stata una delle prime ad attuare un progetto di ricerca multicentrico, per valutare gli effetti di un intervento educazionale sui medici volto a ridurre alcune pratiche di low-care ospedaliere, ottenendo risultati molto promettenti, pubblicati nel 2021 sull’European Journal of Internal Medicine», ricorda Nicola Montano, vicepresidente e presidente eletto della SIMI.
Il deprescribing, almeno concettualmente, poggia su basi molto solide. Adesso però i medici dovranno andare a scuola per imparare a sospendere le medicine ai loro assistiti, senza fare danni. «Si tratta di un importante cambio di paradigma che investe soprattutto la sfera della prevenzione primaria, dove dieta, attività fisica e smettere di fumare possono fare molto, senza necessità di medicalizzare un soggetto, che non è ancora paziente. Dobbiamo inoltre analizzare con attenzione tutte le prescrizioni fatte ai nostri pazienti, in particolare se anziani. Sarà facile accorgersi che molte possono essere eliminate; in un soggetto con un’aspettativa di vita limitata, alla dimissione dall’ospedale, sarebbe opportuno chiedersi quali sono le medicine realmente necessarie, eliminando tutte le altre. Riteniamo che su questo punto sia necessario organizzare una consensus che indichi la strada da seguire in questa direzione, per guidare l’operato dei medici con una serie di decisioni condivise, volte a migliorare l’appropriatezza prescrittiva», commenta Sesti.
Deprescribing significa anche rivedere periodicamente insieme al paziente (o ai suoi familiari) tutte le sue prescrizioni per eliminare quelle più a rischio (tipicamente benzodiazepine, antidepressivi, ‘supplementi’ vari, inibitori di pompa protonica, oppiacei, antinfiammatori non steroidei, e altri ancora) o non strettamente utili.