Interstiziopatia polmonare, serve più collaborazione tra specialisti

L’indagine

Interstiziopatia polmonare, serve più collaborazione tra specialisti

di redazione

La collaborazione tra reumatologo e altri specialisti è una realtà nel nostro Paese. Nel 67 per cento dei casi, la gestione dell’interstiziopatia polmonare (o ILD Interstitial Lung Disease) è multidisciplinare, anche se non è ancora strutturata in percorsi fissi e prestabiliti. Nel 70 per cento delle volte, infatti, la cooperazione avviene su base volontaria e si fonda su conoscenze interpersonali fra i professionisti. È quanto emerge da una survey presentata oggi a Roma promossa tra pneumologi e reumatologi che rientra nel progetto RETE ILD, ideato e gestito da Isheo con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim Italia.

«Le interstiziopatie rappresentano una condizione patologica scarsamente diagnosticata o individuata tardivamente. L’interessamento polmonare, quando si verifica, rappresenta una sfida per lo specialista reumatologo dal punto di vista diagnostico, del management prospettico e della terapia farmacologica. In alcuni pazienti, l’interstiziopatia polmonare costituisce l’unica manifestazione clinica della malattia reumatica autoimmune e, dunque, il team multidisciplinare è di fondamentale importanza sia per la diagnosi che per il follow-up dei pazienti. Evidenze scientifiche documentano come l’approccio multidisciplinare sia in grado di condurre alla diagnosi nel 75 per cento dei casi dubbi. Inoltre, il monitoraggio dei pazienti da parte del team multidisciplinare è di fondamentale importanza per discriminare i casi con fenotipo progressivo», afferma Gian Domenico Sebastiani, presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). 

L’interessamento polmonare deve essere identificato il più rapidamente possibile. Una diagnosi precoce migliora la gestione dei pazienti aiutando a individuare le strategie di follow-up e le opzioni terapeutiche più efficaci. «L’identificazione di questa condizione richiede l’esecuzione di esami diagnostici e, spesso, ad alta risoluzione che devono essere correttamente eseguiti ed interpretati. In questo contesto, la possibilità di poter interagire con specialisti anche al di fuori dell’azienda sanitaria di appartenenza e, ancor più, la possibilità di condividere le immagini radiologiche diventa di fondamentale importanza e va agevolata, al fine di garantire equo accesso alla migliore presa in carico per tutti i pazienti» commentano Nicola Sverzellati, direttore di Unità Operativa di Scienze Radiologiche, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Parma.