Lockdown nemico dell’artrosi degli anziani
Anziani e lockdown, un binomio che con i mesi è diventato indissolubile. Non senza conseguenze. Perché se da una parte il consiglio di restare a casa è stato fondamentale per proteggersi da Covid-19, dall’altra non è stato d’aiuto per le articolazioni colpite da artrosi. «È come un cancello arrugginito: se lo apri e chiudi tutti i giorni riesci comunque a utilizzarlo, ma se lo tieni fermo per un po’ alla fine è difficile da aprire» spiega Francesco Bove, direttore della Chirurgia ortopedica dell'Istituto neurotraumatologico italiano di Grottaferrata (Roma).
In Italia, secondo il Registro italiano artroprotesi, nel 2018 (ultimo dato disponibile) sono stati eseguiti quasi 38 mila interventi di protesi d’anca, tra sostituzioni totali, parziali e revisioni, dei quali il 40,1% ha interessato uomini con un’età media di 68 anni e il 59,9% donne con un’età media di 74 anni. La causa nel 61 % dei casi era imputabile ad artrosi primaria e nel 31,6% a frattura del collo e/o testa del femore. E sono stati eseguiti oltre 29 mila interventi di protesi di ginocchio tra sostituzioni totali, parziali e revisioni dei quali, il 32,8% ha interessato uomini con un’età media di 69 anni e il 67,2% donne con un’età media di 71 anni. Nella quasi totalità dei casi (94,1%) la causa era riconducibile ad artrosi primaria.
La rapidità dell’intervento, nel senso di tempestività e anche di durata dell’atto operatorio, è fondamentale. Per questo all’Ini é stato messo a punto un protocollo «che può essere considerato un vero e proprio “modello fast” ovvero “rapido”» spiega Bove.
In genere un intervento di protesi di anca o di ginocchio dura 40 minuti, ma quando si tratta di un’emergenza o di una persona molto anziana può durare anche 25 minuti. «Una rapida esecuzione dell’intervento significa una minore esposizione agli agenti infettivi nosocomiali e la possibilità di utilizzare anestesia periferica, aspetto non secondario con un paziente anziano» precisa ancora Bove.
La parola d’ordine, dunque sembra essere “rapidità”, nell’intervento, nel recupero, ma anche in tutto l’iter operatorio con l’abbattimento se non addirittura la cancellazione delle liste d’attesa.
«Aver messo a punto un “modello d’intervento” consente di ottimizzare tutti i tempi e quindi una migliore organizzazione che, inevitabilmente, porta a un abbattimento delle liste d’attesa. Senza per questo immaginare una “uniformità” degli interventi, anzi. Perché non esiste una protesi che va bene per tutti – conclude lo specialista - ed è necessario che l’intervento sia altamente personalizzato».