Maculopatie, in arrivo nuove cure salva-retina: da anticorpi a “doppia azione” e farmaci “ricaricabili”
Nuove prospettive per chi soffre di maculopatia. L’arrivo di nuovi farmaci e di innovative strategie di intervento potrebbe migliorare la la qualità di vita di molti paziento. È quanto emerso nel corso del primo Congresso Nazionale della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO). Alcuni principi attivi, sottolineano gli oculisti, sono già stati approvati dalla Food and Drug Administration e hanno già avviato il percorso di approvazione per l’utilizzo clinico anche in Europa, altri sono ora nelle fasi finali di ricerca clinica.
Nel 2023 arriveranno due anticorpi monoclonali per trattare due patologie che causano la perdita della vista, la degenerazione maculare “senile” umida e l’edema maculare diabetico. Al congresso della S.I.S.O. saranno presentati i risultati di fase 3 sull’impiego di ranibizumab: il farmaco potrà essere somministrato tramite riempimento ripetuto (refill) di un piccolo serbatoio impiantato nell’occhio. I dati mostrano che quasi tutti i pazienti (98%), possono lasciare passare un intervallo di 6 mesi fra un refill e l’altro, con la stessa efficacia terapeutica del trattamento mensile intravitreale del farmaco. Anche per quanto riguarda l’impiego di faricimab recenti studi pubblicati anche su The Lancet, confermano che nel 60 per cento dei pazienti può essere somministrato ogni 4 mesi, anziché 2 come l’attuale standard terapeutico. I nuovi trattamenti aggiungono quindi un vantaggio: l’estensione dell’intervallo tra le somministrazioni, riducendo il numero delle iniezioni.
«La maculopatia è una patologia che compromette in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti ed è molto diffusa: riguarda il 2 per cento degli italiani e aumenta al crescere dell’età. Le terapie disponibili sono prevalentemente mirate a inibire l’azione del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), un fattore che favorisce la crescita di nuovi vasi sanguigni nella retina e che nella maculopatia umida, la forma più aggressiva, contribuisce alla degenerazione delle cellule visive. Gli anticorpi anti-VEGF consentono di rallentare la degenerazione della retina nella sua parte centrale, la macula, responsabile del “buco” nella visione centrale tipico della malattia; si tratta però di cure complesse da seguire, perché prevedono iniezioni intravitreali mensili, e che dovrebbero essere eseguite presto, dopo una diagnosi tempestiva, per poter “bloccare” il più possibile la patologia. Purtroppo molti pazienti arrivano alla diagnosi in ritardo perché non si sottopongono a visite oculistiche di controllo dopo i 50 anni e perché trascurano i sintomi iniziali, costituiti principalmente dalla visione un po’ distorta delle immagini: se l’altro occhio è sano, accade di non accorgersene subito e il disturbo progredisce, fino ad arrivare alla comparsa di una macchia scura potenzialmente irreversibile e indistinta in mezzo al campo visivo. L’obiettivo della ricerca di questi ultimi anni è stato perciò trovare farmaci che potessero essere più efficaci nel ritardare la progressione della perdita visiva agendo anche su altri fattori di crescita coinvolti, e che rendessero più agevole la cura, riducendo la necessità di somministrazioni intravitreali», ha spiegato Francesco Bandello, direttore Clinica Oculistica Vita-Salute San Raffaele, Milano.