Melanoma metastatico: più di un paziente su due libero da malattia se trattato subito con l’immunoterapia

Lo studio

Melanoma metastatico: più di un paziente su due libero da malattia se trattato subito con l’immunoterapia

di redazione

Immunoterapia per prima e poi terapia target. È questa la tabella di marcia indicata per il trattamento del melanoma metastatico secondo lo studio internazionale Secombit coordinato dal Pascale di Napoli e presentato al Congresso Europeo di Oncologia Medica (ESMO). Iniziando con l’immunoterapia a quattro anni si raggiunge la migliore sopravvivenza globale pari al 63 per cento (rispetto all’avvio con la terapia target, 46%). 

«Lo studio Secombit ha l’obiettivo di individuare la giusta sequenza di terapie nelle persone con melanoma metastatico che presentano la mutazione del gene BRAF. Il trial sperimenta tre opzioni per individuare la sequenza migliore. La prima è la combinazione di terapie target per proseguire con la combinazione di due molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, dopo progressione di malattia.

La seconda opzione è la duplice immunoterapia per proseguire con la combinazione di target therapy dopo progressione. Infine il cosiddetto ‘sandwitch arm’, cioè la sequenza di terapie target e della combinazione delle due immunoterapie e, solo in caso di progressione, la prosecuzione con terapie target. La seconda opzione, che prevede l’avvio con la combinazione di immunoterapie, consente di raggiungere la migliore sopravvivenza globale a 4 anni, pari al 63%, rispetto all’avvio con la terapia target (46%) o con la terza opzione (59%). I dati preliminari indicano una sopravvivenza libera da progressione totale pari al 55% iniziando con la combinazione di nivolumab e ipilimumab rispetto al 29% con la terapia a bersaglio molecolare e al 54% con la terza opzione. La scelta dell’immunoterapia prima della terapia target è quindi sostenuta da questi dati», spiega Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Immunoterapia dell’Istituto dei tumori di Napoli.

Per portare avanti questo studio sono state arruolate 209 persone di 30 centri in 10 Paesi europei. Il Pascale ha coinvolto più pazienti, circa 40. Lo studio Secombit ha inoltre dimostrato per la prima volta che pazienti con un elevato Ldh, l’enzima che correla il carico di malattia, o che avevano molte metastasi, un andamento migliore nella seconda e terza opzione terapeutica. «Nell’analisi dei biomarcatori è stato osservato una correlazione tra TMB (tumour mutational burder) elevato, la mutazione nel gene JAK ed i bassi livelli della citochina interferone gamma con la sopravvivenza», continua Ascierto.