Monitoraggio immunologico, per una medicina sempre più personalizzata
L’obiettivo resta lo stesso: dare il farmaco giusto al paziente giusto. Ma oggi la medicina di precisione può andare oltre diventando ancora più personalizzata. Perché la scelta terapeutica la fa un “tiratore scelto” che prima prende la mira ma poi aggiusta il tiro se il bersaglio nel frattempo è andato fuori fuoco. Fuor di metafora vuol dire verificare periodicamente, con specifici esami di laboratorio, la risposta al trattamento del singolo paziente e in base ai risultati intervenire con gli opportuni aggiustamenti. L’esame per eccellenza di questo tipo è il monitoraggio immunologico con citometria a flusso, un test che, in estrema sintesi, valuta grazie ad alcuni marcatori specifici la reazione del sistema immunitario ai farmaci immonologici suggerendo al clinico le eventuali modifiche nel dosaggio, nella frequenza o nel tipo di terapia. Si tratta di uno strumento prezioso per il trattamento della malattie autoimmuni che consente di sapere, tanto per fare un esempio, se il farmaco stimola troppo o troppo poco il sistema immunitario. Le potenzialità del monitoraggio immunologico, le applicazioni attuali e future, le modalità del suo utilizzo sono state messe nero su bianco in un documento di consensus dedicato agli specialisti che trattano patologie autoimmuni nei settori reumatologico, neurologico, ematologico e nefrologico dal titolo “Applicazione del monitoraggio immunologico. Focus sulle patologie autoimmuni e prospettive di sviluppo”, presentato il 30 novembre a Roma in un incontro tra clinici e ricercatori, organizzato da Inrete con la collaborazione di Becton Dickinson.
I vantaggi per le malattie autoimmuni
Il documento, pur riconoscendo le diverse possibilità di impiego del monitoraggio immunologico, si limita per il momento a descrivere i vantaggi di questa tecnica nell’ambito delle terapie con farmaci biologici usati nelle malattie autoimmuni tra cui gli anticorpi monoclonali anti-CD20, il cui capostipite è rituximab.
Rituximab svolge un’azione immunosoppressiva particolarmente indicata per quelle malattie causate da un’eccessiva attività del sistema immunitario e difatti viene usato per lo più off-label (fuori dalle indicazioni ufficiali) in molte patologie scatenate dal meccanismo dell’autoimmunità. Le più note sono l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla, ma rientrano nella stessa categoria anche le anemie emolitiche autoimmuni in ambito ematolgico o la glomerulonefrite membranosa in nefrologia, tanto per citarne alcune.
«Il vantaggio del monitoraggio immunologico per il trattamento dell’artrite reumatoide è evidente. Questo esame permette di evitare i due rischi opposti della terapia con farmaci immunologici, un eccesso di immunodepressione che comporta una maggiore esposizione alle infezioni e un’iperattivazione del sistema immunitario che comporta la riacutizzazione dei sintomi. La tipizzazione immunologica con metodo citofluorimetrico consente di giocare d’anticipo evitando entrambi gli scenari», spiega Angelo De Cata, responsabile dell'Unità operativa dipartimentale di reumatologia all'ospedale Casa sollievo della sofferenza San Giovanni Rotondo.
Come e quando usare il monitoraggio immunologico
Il monitoraggio immunologico con citometria a flusso consiste nel quantificare le cellule sane rispetto a quelle malate attraverso i biomarcatori specifici delle singole patologie. I risultati possono servire a prevedere in anticipo come reagirà il paziente alla determinata terapia oppure a fare emergere nuovi e più indicati bersagli terapeutici o ancora a prevenire effetti collaterali.
«Con questa tecnologia cambia tutto. Il clinico ha a disposizione indicatori biologici per decidere l’approccio terapeutico e non solo i sintomi dei pazienti o i risultati di analisi meno precise, utili solo fino a un certo punto. Ma questa tecnologia, che è la Ferrari dei test di laboratorio, bisogna saperla usare per sfruttarne tutte le potenzialità. A questo serve il documento di consensus che per la prima volta fornisce delle linee guida sul monitoraggio immunologico fondamentali per favorire un dialogo tra il clinico e il laboratorio», afferma Bruno Brando, direttore di Immunoematologia e Centro trasfusionale ASST Ovest Milanese Legnano, componente del board di esperti che ha elaborato il documento.
La situazione in Italia
«Si è visto che utilizzare protocolli di terapia fissi per tutti i pazienti non funziona. La possibilità di seguire l’andamento della terapia nel follow up con un monitoraggio accurato permette di evitare un sovradossaggio e il conseguente rischio di effetti collaterali, di capire perché il paziente non risponde e nel caso invece in cui risponda sapere quando è più opportuno riprendere il trattamento. La tecnologia consente anche di risprmiare dosi inutili del farmaco» assicura Carlo Guastoni, direttore dell'Unità di Nefrologia e dialisi ASST Ovest Milanese Legnano.
Nonostante i principali ospedali italiani abbiano in dotazione l’apparecchiatura necessaria per il monotoraggio immunologico, l’esame di laboratorio non è ancora entrato nella pratica clinica.
«Il vantaggio del monitoraggio immunologico periodico nelle malattie autoimmuni non si rispecchia nella pratica clinica. Il documento di consensus nasce con l’obiettivo di incentivare l’uso di questa tecnica sottolinenando la necessità di stabilire rigorosi protocolli standardizzati che permettano di ottimizzare le potenzialità dello strumento» dichiara Martina Severa, della Divisione di Immunologia del Dipartimento malattie infettive dell'Itsituto superiore di sanità.
Clinico e laboratorio vanno a braccetto
Nel nuovo scenario della medicina personalizzata il clinico e lo specialista del laboratorio lavorano uno a fianco all’altro con l’obiettivo condiviso di confezionare su misura la terapia giusta per il paziente giusto, individuando insieme gli eventuali aggiustamenti "sartoriali" necessari al trattamento.
«Il dialogo tra clinico e laboratorio è fondamentale anche per ottenere un risparmio economico perché il monitoraggio immunologico consente di evitare le dosi inutili del farmaco. È necessario stabilire un circolo virtuoso tra clinico e laboratorio e arrivare a condividere le scelte, in primis quella sui tempi del monitoraggio, decidendo insieme quando effettuarlo e con quale frequenza. Sono in arrivo tante nuove terapie che potrebbero beneficiare di questa tecnologia» dichiara Marco Capobianco, direttore della Struttura complessa di Neurologia all'ospedale San Luigi di Orbassano.
Un aiuto in più per ottimizzare le Car-T
Il monitoraggio immunologico si rivela utile anche nelle Car-T, le terapie di ultima generazione indicate per alcuni tumori del sangue che funzionano potenziando i linfociti T (cellule immunitarie) degli stessi pazienti.
«Nelle terapie cellulari, la possibilità di conoscere come si stanno comportando i soldati in campo, ossia le cellule della difesa immunitaria rafforzate in laboratorio e poi reinfuse nei pazienti, sapere quanti sono, se sono forti o deboli, se è il caso di pensare ai rinforzi oppure no, se è sia necessario o meno riattivare l’immunità, è fondamentale per ottimizzare la terapia», spiega Martino Introna responsabile dell'Unità di Terapie cellulari G. Lanzani ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.