Nuove linee guida europee per l'emocromatosi
Presentate al congresso della European Association for the Study of the Liver (EASL) le nuove linee guida per la pratica clinica dell’emocromatosi, malattia poco nota al grande pubblico, sebbene sia più diffusa di quanto si possa pensare. In passato ha colpito anche celebrità del calibro di Beethoven il cui decesso, secondo alcuni, sarebbe da attribuire a una una cirrosi epatica, determinata da un mix di emocromatosi e alcol.
L’emocromatosi è una malattia genetica «che comporta gravi conseguenze se non è riconosciuta tempestivamente e trattata in modo adeguato» spiega Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di medicina interna (Simi): porta l’organismo ad assorbire troppo ferro e ad accumularlo organi come fegato, pancreas, ipofisi, articolazioni, cuore e altri che ne vengono progressivamente danneggiati. In Italia interessa circa una persona su 500 in alcune aree del nord e una su 2-3 mila nel centro-sud; i maschi sono colpiti quattro volte più delle femmine.
Negli ultimi anni si è acquisita una serie di conoscenze sulla malattia e per questo l'Easl, che ha di recente tenuto il suo congresso annuale a Londra, ha incaricato un panel di esperti internazionali di aggiornare le linee guida, ferme alla versione 2010.
Tra gli esperti che hanno preso parte alla stesura delle linee guida 2022, Elena Corradini, professore di Medicina interna all’Università di Modena e Reggio Emilia e componente del Consiglio direttivo della Simi.
«Il primo punto che abbiamo aggiornato in questa nuova versione – racconta Corradini – è la definizione stessa di emocromatosi, che nelle nuove linee guida è: “Una malattia di origine genetica caratterizzata da un aumento della saturazione della transferrina e da un progressivo sovraccarico di ferro (soprattutto nel fegato), in assenza di anemia o reticolocitosi”».
Il primo campanello d’allarme per la diagnosi di questa malattia compare nelle analisi del sangue ed è un’aumentata saturazione della transferrina, la proteina che trasporta il ferro al midollo osseo e a tutti i tessuti. Il principale organo target dell’accumulo di ferro è il fegato che presenta inizialmente una fibrosi, che può progredire a cirrosi e a tumore.
I primi sintomi sono stanchezza, affaticabilità e dolori articolari, ma il danno al fegato può rimanere asintomatico per molti anni. «Il nostro scopo – sottolinea ancora Corradini – è però quello di fare diagnosi in fase preclinica, quando sono presenti solo le alterazioni delle analisi del sangue, quando cioè il paziente ha ancora solo un eccesso di ferro circolante eventualmente associato a un modesto accumulo nel fegato nelle fasi iniziali di malattia, ma non si sono ancora manifestati i danni d’organo da accumulo di ferro».
Sul fronte delle cure «non ci sono per ora grandi novità», osserva l'esperta, e la terapia di prima linea rimane affidata ai salassi ripetuti, pratica che «presenta poche controindicazioni ed effetti collaterali ed è efficace nel prevenire il danno d’organo e addirittura farlo tornare indietro, almeno quando non abbia raggiunto una fase troppo avanzata, in una parte dei pazienti». Un’altra opzione terapeutica è l’eritrocitaferesi, cioè la rimozione di una parte di globuli rossi dal sangue. I farmaci chelanti del ferro vengono utilizzati nelle forme più gravi o laddove non sia possibile fare i salassi. Sono in corso studi clinici che prevedono l’utilizzo di epcidina sintetica o di epcidino-mimetici per supplementare il paziente con l’ormone deficitario nell’emocromatosi. «Ma ci vorrà ancora tempo – avverte infine Corradini - prima che arrivino alla pratica clinica».