La “paziente di New York” potrebbe essere il terzo caso di guarigione dall’Hiv al mondo
“Guarigione”. Come per gli unici altri due casi accertati finora, anche questa volta la parola scelta, a dire il vero più dai media che dagli scienziati, per descrivere la condizione clinica di una paziente con HIV è spiazzante. L’annuncio è stato dato nei giorni scorso a Denver, in Colorado, durante il convegno Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections: una donna americana è stata curata dall’infezione con una nuova tecnica di trapianto di staminali prelevate dal cordone ombelicale e non dal midollo osseo. Yvonne J. Bryson, specialista in malattie infettive pediatriche presso la David Geffen School of Medicine dell’Univversity of California Los Angeles, che ha descritto il nuovo caso al convegno preferisce parlare per ora di “remissione” piuttosto che di “cura”. Perché “cura” o “guarigione” hanno un significato ben preciso: vuol dire che l’infezione è superata, sconfitta, annientata e che il virus è scomparso, per sempre. Ancora non si può dire che sia effettivamente questo il caso.
Ma quello che è accaduto alla donna americana è comunque qualcosa di sensazionale: dopo 14 mesi dalla sospensione della terapia antiretrovirale non ci sono più tracce di Hiv. Un risultato del genere lo avevano ottenuto solamente due altre persone al mondo, Timothy Ray Brown e Adam Castillejo, passati alla storia rispettivamente come il “paziente di Berlino” e il “paziente di Londra”, entrambi liberatisi dall’Hiv e dichiarati ufficialmente guariti grazie a un trapianto di staminali adulte del midollo osseo. Timothy Ray Brown è morto nel settembre del 2017 a causa di una leucemia.
Quest’ultimo caso, già soprannominato la “paziente di New York”, è diverso e almeno sulla carta potrebbe aprire la strada a trattamenti più accessibili, meno rischiosi e più efficaci, rispetto al trapianto del midollo osseo a cui erano stati sottoposti Brown e Castillejo. Va ricordato che in entrambi i casi la delicata procedura era stata effettuata principalmente per curare una malattia del sangue e non l’infezione da Hiv. La guarigione dall’Hiv è stato un gradito e inaspettato effetto collaterale dell’intervento, dovuto al fatto che i due donatori possedevano una rara mutazione che rende immuni all’Hiv che è stata trasmessa ai riceventi. Questa anomalia genetica finora è stata rinvenuta solo in 20mila donatori di midollo, troppo pochi per poter immaginare di ricorrere a questa strategia, tra l’altro rischiosa per la gravità degli effetti collaterali, per curare un gran numero di persone. Sia Brown, morto nel 2020 per leucemia, che Castillejo hanno dovuto affrontare una serie di pesanti complicanze dopo il trapianto. Inoltre la rara mutazione si presenta per lo più in persone di ascendenza europea, geneticamente incompatibili con pazienti di altre etnie.
Il sangue del cordone ombelicale, invece, è più facile da reperire rispetto alle staminali adulte del midollo osseo, ha maggiori probabilità di essere compatibile con il ricevente e quindi un minore rischio di rigetto.
Come è accaduto nei due casi precedenti, anche per la paziente di New York la guarigione dall’Hiv è stata la conseguenza, voluta, di un trattamento per un’altra patologia, la leucemia mieloide.
La donna di mezza età, la cui identità non è nota, con una diagnosi di Hiv dal 2013, in terapia antiretrovirale, ha ricevuto una trasfusione di sangue dal cordone ombelicale come terapia per il tumore ematologico.
Il donatore però è stato scelto tra quelli che possedevano la rara mutazione genetica che impedisce all’Hiv di entrare nelle cellule. Prima del trapianto, la paziente è stata sottoposta alla chemioterapia per eliminare le cellule immunitarie cancerose. Le cellule del cordone ombelicale impiegano però sei settimane prima di impiantarsi in maniera definitiva e così per non restare sprovvista delle difese immunitarie necessarie, la paziente ha ricevuto in aggiunta anche cellule staminali adulte dal sangue di un parente. 17 giorni dopo l’intervento, eseguito dal team del Weill Cornell Medical Center di New York nel 2017 a New York, la paziente era stata dimessa senza alcun segno di rigetto. La terapia antiretrovirale è stata interrotta 37 mesi dopo il trapianto e oggi, più di 14 mesi dopo, non si trova traccia negli esami del sangue dell’Hiv né di anticorpi contro il virus. Anche la leucemia è in remissione da oltre quattro anni.
Non è chiaro esattamente il motivo per cui le cellule staminali del sangue del cordone ombelicale sembrano funzionare così bene, hanno affermato gli esperti. Una possibilità è che siano più capaci di adattarsi a un nuovo ambiente, ha dichiarato al New York Times Koen Van Besien, direttore del servizio trapianti di Weill Cornell.
Il caso della paziente di New York fa parte di un più ampio studio condotto dai ricercatori dell'Università della California di Los Angeles (UCLA) e della Johns Hopkins University di Baltimora che coinvolge 25 persone con cancro e HIV che verranno sottoposte a trapianto con cellule staminali prelevate dal sangue del cordone ombelicale di donatori con la mutazione protettiva nei confronti dell’Hiv per la cura del cancro.
Un altro vantaggio dell’approccio basato sul sangue del cordone ombelicale è dato dal fatto che nelle banche del cordone è molto più facile individuare l’anomalia genetica della resistenza all'HIV rispetto ai registri del midollo osseo da cui gli oncologi selezionano i donatori di cellule staminali.