Pazienti fragili con Covid: gli anticorpi monoclonali sono ancora efficaci

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Pazienti fragili con Covid: gli anticorpi monoclonali sono ancora efficaci

di redazione

Ogni giorno in Italia muoiono ancora circa trenta persone per infezioni da SARS-CoV-2, oltre 200 a settimana. A perdere la vita sono principalmente i soggetti fragili.

L’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe dichiarare presto la fine della pandemia da Covid 19, ma quei numeri dicono che rimane una priorità di sanità pubblica aumentare le attività finalizzate a una corretta profilassi vaccinale e all’applicazione di protocolli terapeutici precoci e mirati. Soprattutto per coloro che sono ad alto rischio di progressione verso forme di malattia grave.

Se ne è discusso mercoledì 22 febbraio durante l’incontro “mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi”, promosso a Roma da GlaxoSmithKline.

Il trattamento precoce con anticorpi monoclonali e antivirali è ancora oggi «la strategia più efficace insieme alla vaccinazione per prevenire l’ospedalizzazione, le complicanze e il decesso per Covid» dice Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). «Diverse condizioni sia anagrafiche che cliniche sono state correlate con il rischio di progressione della malattia. Nella pratica clinica – aggiunge - è comunque spesso complicato riuscire a classificare in maniera precisa la vulnerabilità e il grado di rischio dei singoli pazienti».

Nella fase iniziale della pandemia sono stati infatti identificati come fattori di rischio l’età avanzata, il sesso biologico maschile e l’obesità. Oltre a questi fattori sono state definite altre condizioni legate al carico delle comorbosità, che hanno consentito di identificare tipologie di pazienti a maggior rischio di sviluppare malattia grave. Le malattie che colpiscono il sistema immunitario in modo diretto o indirettamente possono determinare un incremento del rischio di ospedalizzazione e malattia grave da Covid-19 e di prognosi infausta.

Ecco perché per questi pazienti la comunità scientifica raccomanda una terapia precoce dell’infezione mediante anticorpi monoclonali. Nei pazienti fragili, il vantaggio dell’anticorpo monoclonale rispetto ai farmaci antivirali è quello di bloccare l’ingresso del virus prima che entri nella cellula dell’ospite e di indurre potenzialmente l’attività citotossica anticorpo-dipendente nel caso le cellule vengano infettate. Inoltre, gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati anche in pazienti in trattamento con altre terapie poichè le interazioni farmacologiche sono pressoché assenti.

In Italia è disponibile un anticorpo monoclonale per il trattamento precoce dell’infezione da SARS-CoV-2, sotrovimab, il cui utilizzo è stato raccomandato lo scorso 21 febbraio dal britannico National Institute for Health and Care Excellence (Nice) nei pazienti con più alto rischio di sviluppare una malattia grave e per i quali siano controindicate altre opzioni terapeutiche.

«L’impiego degli anticorpi monoclonali (mAbs) è ormai una concreta ed efficace realtà terapeutica in diversi contesti – osserva Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell'Ospedale Amedeo di Savoia di Torino - in particolare nelle malattie infiammatorie e in emato-oncologia. Oggi l’uso terapeutico e anche preventivo dei mAbs in malattie infettive ha ricevuto un recente impulso dalla pandemia di infezione da SARS-CoV-2, in quanto la terapia a base di mAbs è stata la prima a posizionarsi come trattamento precoce nelle prime fasi dell’infezione. Nella realtà dei fatti, per alcuni mAbs, quali il sotrovimab, il parallelismo fra test di laboratorio ed efficacia clinica ha mostrato significativi limiti, in quanto lo stesso sotrovimab in studi post-marketing è risultato efficace in terapia precoce a onta di risultati negativi nei test “in vitro».

«La variabilità delle sottovarianti di Omicron ha reso non sempre facile e scontato definire con chiarezza l'efficacia degli anticorpi monoclonali contro il SARS CoV-2» precisa Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia e diagnostica di immunologia all'ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. «Tuttavia – prosegue - a fronte della perdita di efficacia di molti di essi, alcuni monoclonali hanno mantenuto un effetto significativo anche nei confronti delle più recenti sottovarianti del virus, comprese quelle circolanti in prevalenza in Italia. Tra di essi, sotrovimab sembra essere quello a maggior efficacia. Sotrovimab inoltre ha un profilo farmacologico e farmacocinetico tale da renderlo un’opzione alquanto valida nel presente contesto virologico e clinico, considerando sia la sua lunga emivita che la capacità di stimolare una risposta immunitaria che coadiuva quella dell’organismo e che potenzia, tramite due meccanismi cellulari, la rimozione e inattivazione del virus».