Sclerosi multipla: Ozanimod migliora e preserva le funzioni cognitive
All’European Academy of Neurology (EAN), che si è tenuto a Vienna dal 25 al 28 giugno, sono stati presentati cinque abstract su dati provenienti dagli studi registrativi e dallo studio di estensione (OLE-Daybreak) con ozanimod per il trattamento della sclerosi multipla. Il farmaco ha dimostrato, se somministrato in fase precoce, di preservare e migliorare le funzioni cognitive nei pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante remittente. Tra gli studi condotti, uno in particolare, ha valutato l’efficacia di ozanimod nei pazienti prevalentemente naive, cioè in coloro che non avevano mai ricevuto precedenti terapie.
I sintomi della sclerosi multipla possono variare da persona a persona. I più ricorrenti interessano la vista, le sensibilità, le attività motorie o possono manifestarsi con i cosiddetti “sintomi invisibili” come fatica, depressione, disturbi dell’attenzione o della memoria, difficoltà a mantenere la concentrazione, problemi ad effettuare calcoli o pianificare attività complesse e a svolgere più attività contemporaneamente. Tutti i sintomi costringono la persona con sclerosi multipla a ridefinire l’organizzazione della propria vita e i progetti a breve e lungo termine. I deficit cognitivi non sono sempre individuati, ma sono presenti nel 40-70 per cento dei pazienti fin dalle fasi iniziali della malattia e sono correlati all’atrofia cerebrale che si instaura nel tempo. «La patologia può portare a una perdita di volume cerebrale significativa e irreversibile nonché a una alterazione delle funzioni cognitive se non vi è un intervento terapeutico tempestivo.
I dati presentati all’EAN hanno mostrato l’azione di ozanimod nel preservare o migliorare le funzioni cognitive nella maggior parte dei pazienti esaminati. Nello studio SUNBEAM e nella sua estensione (OLE-DAYBREAK), infatti, i pazienti caratterizzati da volumi cerebrali più elevati al baseline, in particolare il volume talamico, avevano una migliore performance ai test cognitivi (symbol digit modalities test- SDMT) rispetto ai pazienti con volumi più bassi. Questo trend rimaneva stabile o migliorava nel corso dei 4-5 anni di trattamento con ozanimod, che si associava a una funzione cognitiva conservata o migliorata in circa l’80% dei pazienti con più alto volume talamico e nel 66% dei pazienti con volume cerebrale più basso. Abbiamo ora a disposizione dati confortanti sull’utilizzo ad oltre quattro anni della nuova terapia soprattutto sul ruolo di protezione che svolge nei confronti del declino cognitivo e dell’atrofia cerebrale», ha commentato Luigi Maria Grimaldi, Responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia dell’Ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù.