Sport. Meglio aspettare un po' di più dopo una commozione

Nuove indicazioni

Sport. Meglio aspettare un po' di più dopo una commozione

Uno studio condotto su 34mila atleti negli Stati Uniti dimostra che dopo 28 giorni l’85 per cento di chi subisce un trauma cranico guarisce del tutto. Con le attuali raccomandazioni di 14 giorni, torna in piena forma solo il 50 per cento degli sportivi

Yadier_Molina_with_a_concussion_in_June_2008.jpg

Immagine:shgmom56 on Flickr, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione

Gli infortuni sono i rischi del mestiere degli sportivi. E il trauma cranico è uno dei più temuti per le conseguenze a lungo termine. Tanto che gli esperti hanno raddoppiato il tempo consigliato per il recupero agli atleti che hanno sbattuto la testa in maniera violenta. Finora la convalescenza era di 14 giorni, ora passa a 28. Secondo gli autori di uno studio su Sports Medicine questo è il tempo necessario a garantire la completa guarigione a calciatori, rugbisti o giocatori di hockey che sono stati vittime di un incidente. 

Dopo 14 giorni solo il 50 per cento degli infortunati guarisce del tutto. Dopo 28 giorni invece l’85 per cento degli atleti ha i requisiti per poter tornare in campo senza rischiare la salute. Le nuove indicazioni non vogliono essere vincolanti. Le associazioni sportive (lo studio condotto negli Stati Uniti riguarda soprattutto le università) non sono costrette a modificare il protocollo del “return to play” (RTP) che prevede 14 giorni di recupero ma allo stesso tempo sono tenute ad accettare una pausa più lunga senza mettere fretta agli atleti. 

«I protocolli RTP sono basati sul quadro clinico (sintomi), non sul tempo, quindi non devono essere rivisti. Ma se un atleta impiega fino a 28 giorni per riprendersi dalla contusione è del tutto normale e non va stigmatizzato», specifica Steve Broglio, direttore del  Concussion Center dell’Università del Michigan, autore principale dello studio.

Lo studio ha coinvolto più di 34mila atleti di 22 sport differenti, sia maschi che femmine, provenienti da 30 college degli Stati Uniti, più di 1.700 dei quali avevano avuto una commozione cerebrale nel corso di un allenamento o di una partita. I maschi con trauma cranica praticavano per lo più il football americano (54,7%), il calcio (10,7%), il basket (6,8%) e il wrestling (6,4%). Le atlete con trauma cranico provenivano per lo più dal calcio (23,4%), dalla pallavolo (14%), dal basket (12,9%) e dal lacrosse (8,4%).

Non sono state osservate differenze significative tra gli atleti dei diversi sport nei tempi di recupero. Altri fattori, invece, hanno influenzato la durata della convalescenza. Per esempio si è osservato che l’uso di farmaci per il disturbo del deficit di attenzione e iperattività (Adhd) accorciava la pausa necessaria alla ripresa e che una sintomatologia più accentuata nella fase iniziale allungava il periodo di lontananza dal campo. 

Le raccomandazioni per la gestione della commozione cerebrale vengono aggiornate ogni quattro anni dal Concussion in Sport Group, un organismo internazionale che analizza la letteratura medica e stabilisce le linee guida sull'assistenza clinica. Negli ultimi tempi è aumentata la prudenza e gli infortuni che fino a qualche anno fa venivano liquidati con un paio di giornate di riposo oggi richiedono tempi di recupero più lunghi. 

«Quando ho iniziato la ricerca sulle commozioni cerebrali venti anni fa, gestivamo queste lesioni con un approccio sì/no. Chiedevamo: "Hai sintomi?" e se la risposta era no, l'atleta veniva rimesso in campo. Sono finiti i giorni in cui gli atleti con commozione cerebrale tornano in attività lo stesso giorno. Ora, possiamo pensarlo come un processo, in cui lentamente riportiamo le persone allo sport. Una volta che un giocatore è asintomatico, può volerci ancora del tempo. Dobbiamo rispettare l'infortunio e rispettare il processo di recupero», conclude Broglio.